Fa lo Stato alla sua nazione. Sogguarda visioni militanti e dalla soglia le ammansisce - ormai gli è sufficiente un cenno: obbediscono. Ma non è padre severo, ordinato, Carlo Pescatori; i suoi anni sbarazzano dai ruoli preconcetti le opere-figlie, a volte sta al gioco e sdraia con loro a giocare, lasciandosi disfare tutto.
Ventuno anni addietro era l'enigma dell'Araba Fenice, mortaretto spento tra i palmi, ingrassato con "colori pettegoli" Adesso quelle mani slanciano l'attrezzo della messe, un kukri affilato per la provvista o la provvisione o la scorta felice che non attende l'inverno. Ci si aspetta il pandemonio. Invece, sono "furtivi sguardi su dipinte tele". Un casto riordino.
Da quando dava suggerimenti ai copisti del Louvre (far vibrare il blu con una punta di grigio). Da quando, al Prado, cambiava la didascalia di un Volterrano ("E' su rame, cobre, mica legno!"). Da-a, Pescatori tira i fili rossi, del "buon pittore: regista, elabora un palinsesto, dirige sbattimenti di luce, incanala memorie visive". Che fondamentalmente, qui, si snodano sul ciclo da Zurbaràn, sull'"esperienza di vent'anni fa, a Madrid, quando gironzolavo per musei chiamando sera, insieme a Fallani e Tadini - racconta l'artiere -. Al velo della Veronica, impresso il sudore della fatica e della morte di Gesù, capii che tocca sempre alle donne asciugare i problemi, le atrocità, mai nessuno che deterga le ansie, le aspettative, i silenzi loro". Ecco la carne stesa, frantumata da pieghe vive, arrostita in ustioni: "il corpo femminile non ha difese, corazze, è la Vittima sacrificale".
Il disimballaggio sulla strada maestra dei grandi (Modigliani, Merisi, Magritte, Bonvicino), continua con gli omaggi al loro mistero. "Da occidentale di fronte alla Pop art, davanti ai miti di zuppe e coca-cole, mi sono chiesto ma cosa facciamo, noi che abbiamo una grande storia? Qual è la controproposta? Perché non possiamo rivivere il nostro passato, lentamente e con amore?". Con consapevolezza verde: "Il dipinto all'ingresso l'ho fatto nel '74. Non esisteva una coscienza ecologica. Giravo a Milano, alla vecchia Bovisa,mi interessavano i paesaggi apocalittici, il post industriale. L'aria, mefitica. Il silenzio, di morte. Caravaggio, tu, ora, la canestra l'avresti dipinta in bianco e nero, pensai. Così la Canestra anemica. Così, ancora, spero in un movimento in difesa del pianeta, senza razzismi e prevaricazioni. Noi del dopoguerra abbiamo vissuto nei confronti dell'esistenzialismo, poi venne Mancuse, poi Paolo VI, con l'enciclica Populorum Progressio: il senso di un riscatto, l'uomo che si rifà".
Pescatori dice d'essere "il travicello arrivato alla foce". Eppure nulla, in lui, sa di sfinimento. La dedizione patologica alla pittura rafforza una personale semiotica, dentro e fuori le nasse di mari vissuti, sopra e sotto fluorescenze. Replica in "segnali gestaltici" - il cerchio, l'anello, l'amo. Riapre porte trascorse: "Quello di New York fu meccanismo perverso - sorride - . Avrei dovuto eseguire un quadro al mese, uno per ogni Paese in cui la United Fruit Company stava aprendo mercati. Dissi no, forse persi un treno, ma preferii percorrere la mia strada a piedi, lungo la banchina. Per essere un artista internazionale ci vogliono polso, fiato; io avevo moglie, quattro figli, le mie piccole cose, una vita a misura, il ripetermi ma la gloria, cos'è? Niente, semplicemente, bisogna fare quel che si sa fare".