Il titolo non deve trarre in inganno:
parlando di "paesaggio padano" non ci si vuole ne aprire
geograficamente ad una indagine che sarebbe superiore sia alle
nostre forze che agli spazi espositivi, ne allargare ad una dimensione
storica che risale alle origini dell'arte moderna: vogliamo proporre
alcune riflessioni artistiche accadute in un'area limitata e
ristretta, facente capo alla cultura lombarda, e soffermarci
sugli "ultimi" esiti della pittura di paesaggio, in
special modo all'ultimo ventennio, con pochi iniziali riferimenti
ad alcuni eventi del dopoguerra, che quello successivo hanno
condizionato e definito.
Nel recente dopoguerra, il paesaggio
viene a rappresentare una "area rifugio" per alcune
operazioni esemplari. Il dopoguerra si caratterizza, come è
ampiamente noto, per la presenza di contrapposti movimenti e
tendenze che si rifacevano gli uni all'impegno civile e politico
e si manifestavano attraverso una forte caratterizzazione figurativa
e verisimile, gli altri per l'esplosione delle poetiche non figurative,
che a Milano soprattutto furono espresse da numerosi autori significativi.
Certamente appare semplicistico identificare nella figurazione
l'impegno e nell'astrazione il non-impegno; è semplicistico
e scorretto.
Tuttavia, come categorie semplificate, i due termini possono
servire: in alcuni l'impegno si esprimeva nell'adesione a tematiche,
che si collegavano a rappresentazioni fortemente marcate dal
punto di vista della verisimiglianza (e si parlò di neo-realismo);
in altri, l'impegno era più mentale e indiretto, e la
modernità era vissuta attraverso l'emergere di forme che
traevano dagli impulsi interiori la loro cogenza: la loro arte
fu lontana da ogni riferimento mimetico con la realtà.
Probabilmente, come in ogni età di transizione, erano
risposte parziali: ma è così, negli entusiasmi
di ogni stagione, che voglia proporsi come rinnovatrice.
In tale contesto, agli inizi del decennio Cinquanta - ma già
anticipazioni sono rintracciabili alla fine del decennio bellico
-, alcuni autori si erano mossi per mediare tra due istanze:
da un lato l'irruenza del segno non voleva abbandonare il riferimento
con il mondo esterno ("altro"); dall'altro la materia
aveva energie bastevoli per rendersi significativa. E proprio
in tale contesto, alla metà del decennio Cinquanta, sulla
scorta delle esperienze che avevano animato il venturiano gruppo
degli artisti "astratto-concreti", alcuni autori padani
approdano ad un paesaggio come forma nuova di riflessione pittorica:
si tratta, essenzialmente, di Birolli, Morlotti, Mandelli, pittori
che attraverso il rigenerante contatto con la natura ritrovano
pulsioni pittoriche di straordinaria vitalità.
Quella "eroica" stagione che va dalla metà degli
anni Cinquanta, agli anni Sessanta, andrebbe riletta ed approfondita;
numerose esperienze vengono fatte, e sono collocabili tutte sul
doppio binario della materia che si fa portatrice di significato
emotivo, e del segno che si fa portatore di una espressività
individuale, non slegata alla verisimiglianza: sia la materia,
fortemente corposa, stesa a masse compatte sulla tela, sia il
segno, quasi inciso come una ferita nella materia stessa, rappresentano
i due termini di un'elaborazione poetica di grande novità
espressiva. Ci riferiamo ad opere ormai famose e ben note: e
tuttavia, recuperandole, anche solo in memoria (in absentia)
non possiamo che rimarcare come tale "rottura", anche
rispetto alle esperienze del gruppo degli Otto, che aveva creato
l'arte astratto-concreta, avvenga attraverso l'uso del paesaggio,
attraverso la creazione di immagini, che hanno più elementi
fondanti, il primo dei quali rintracciabile nella mancanza di
figure antropomorfe, nell'assenza dell'uomo: brucia forse, ancora,
la recente guerra, gli orrori dei lager, le devastazioni delle
nostre città che i bombardamenti a tappeto avevano visibilmente
"ferito" .E se poi tale assenza è solo parziale
- si tratta di "incendi", di colture, di sentieri tra
i campi, di campi di mais rigoglioso nell'estate padana: si tratta
cioè di luoghi dove vasta è l'azione umana -, nondimeno,
la natura nella sua assolutezza appare elemento dominante: come
se gli artisti volessero allontanarsi dalla realtà antropica
attraverso un tuffo rigenerante nell'assoluto della natura.
Queste "condizioni di partenza", che abbiamo sommariamente
richiamato, servono per individuare da subito alcuni elementi
su cui occorre riflettere, per accostarsi successivamente alle
immagini della nostra breve antologica: ed in primo luogo conviene
prendere atto di una costante relazione
tra la forma del pensiero visivo e la realtà esterna,
rappresentata da quel paesaggio che per comodità chiamiamo
"Padania". Vogliamo cioè sottolineare come esista
un rapporto tra l'incedere poetico di ogni artista e la realtà
ambientale in cui ognuno si trova a vivere. La seconda osservazione-riflessione
riguarda proprio il rapporto tra figurazione e materia, che viene
emergendo da simili elaborazioni: se è vero che in ogni
autore esiste una sotterranea fedeltà alla figurazione,
è altrettanto vero che tale fedeltà viene sempre
"compromessa" da una serie non piccola di forzature,
approssimazioni, allusioni; esiste, cioè, la volontà
di trascendere la narrazione, per addentrarsi "oltre",
in una terra in cui l'emozione sia più sensibilmente coinvolta,
rispetto alla pura messa in atto degli elementi narrativo-descrittivi.
Infine - ma è un "ultimo" nell'analisi, non nel valore - va sottolineata la fedeltà a certi valori
che, per comodità, definiamo del paesaggio; tale rapporto
tra espressione e materia rimane inalterato per un lungo periodo
storico, per tutto il dopoguerra, e giunge fino all'oggi, nonostante
tutte le modificazioni in ordine sia alle tendenze che ai modi
stessi di intendere l'opera d'arte: esiste - ed è validamente
esistita - una continuità nelle opere e nei valori; e
tale continuità è un elemento da valutare in quanto
tale, come portatore anch'esso di significato.
Il paesaggio appartiene dunque ad una
dimensione espressiva, posta all'incrocio di differenti intenzioni:
da una parte la materia pittorica, che per più aspetti
sembra aver inciso sulla elaborazione dell'opera; dall'altra
l'emozione, che si manifesta variamente, a seconda degli autori,
ma entra nelle cromìe e nel segno, informa di sé
la struttura stessa dell'opera; infine, la definizione rappresentativa
dell'evento ambientale, che rimane come dato sotterraneo, in
ogni forma espressiva. Il paesaggio è dunque un crogiolo
di elaborazioni, e si manifesta con un'autenticità che
è abbastanza anomala, perdurando oltre i numerosi schemi
espressivi del mondo contemporaneo.
Gli autori che abbiamo allineato in questa indagine su alcuni
aspetti del paesaggio padano risentono necessariamente
dei dati da cui siamo partiti. Le opere che abbiamo raccolto,
di solito, appartengono all'ultimo ventennio espressivo: per
molti autori siamo andati alla ricerca di un'opera di una ventina/trentina
di anni orsono e l'abbiamo accostata ad altra recente; solo in
alcuni casi, siamo riusciti a risalire ad un'opera più
lontana nel tempo, ed in pochissimi altri, ci siamo dovuti rifare
ad opere recenti, riuscendo difficoltoso recuperare opere del
più lontano passato per alcuni autori.
Il paesaggio padano quale viene emergendo dalle pagine che abbiamo
accostato non ha una voce univoca: per molti aspetti - e questo
giustifica l'indicazione iniziale - il paesaggio recente sembra
ripercorrere e prendere le mosse dalla serie di temi e di operazioni
che trovano in quel crocevia post-bellico la loro origine, il
loro incipit autorevole. Per tutti, ad ogni modo, il paesaggio
è luogo tra evocazione e narrazione, straordinaria intercapedine
tra bellezza ed energia, tra pulsioni istintive e modificazioni
retiniche delle superfici; in questo senso, il paesaggio rappresenta
lo sviluppo coerente - e libero - di quella pagina post-bellica
da cui siamo partiti.
Per questo abbiamo iniziato recuperando il senso della pittura
che era emersa negli anni Cinquanta: si tratta di cogliere oggi
una dimensione narrativa che da quelle matrici ha preso avvio,
pur nella diversità dei modi. E la prima dimensione che
incontriamo è proprio quella che fa capo alla pittura
che, tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni
Sessanta, fu detta della "nuova figurazione". Il termine
ha un valore storico: rappresenta l'indicazione di una dimensione
espressiva che non voleva confondersi con l'informale imperante.
L'insistere della tendenza sul termine "figurazione"
si comprende proprio in quella stagione. Gli autori che articolarono
(variamente) la loro opera sono numerosi: e l'inquadramento sotto
un'etichetta unica non tende ad annullare differenze, anche sostanziali,
d'atteggiamento; al contrario, tende ad evidenziare la sostanza
comune. La "nuova figurazione" rappresenta il tentativo
di riproporre la pittura (di paesaggio, ma non solo) nel momento
in cui sia le tendenze informali, sia le perduranti tendenze
realiste, continuavano ad operare su differenti (e più
scontati) codici.
In questo contesto espressivo, i primi
autori che incontriamo sembrano muoversi sugli iniziali nuclei
storici da cui siamo partiti: Bruno Scaglia, Attilio Forgioli,
Giovanni Cappelli, Giovanni Repossi, Carlo Pescatori (
).
Pescatori giunge tardi al paesaggio: la prima opera che qui si ripropone, nei primi anni Settanta, documenta una delle poche "intrusioni" dell'artista bresciano nell'ambito del genere; il paesaggio viene letto sotto forma di luogo mentale, cui l'uomo - personaggio assente, ma richiamato - fa riferimento. Più diretto e immediato è il paesaggio attuale. In entrambi il senso della luce, come dominante della scena, come costante di una rappresentazione che sembra misurarsi con le inquietudini, più per allusioni che per narrazioni. Il paesaggio, con gli alterni giochi di luce ed ombre, con la sua linea d'orizzonte che sembra sovrastare la rappresentazione, con il mutevole incupirsi del cielo è il luogo diretto su cui far convergere le proprie emozioni, in cui far brillare la luce di una rappresentazione drammatica della vita.
(...) La nostra antologia riconferma, se ce ne fosse stato bisogno, che la realtà della materia è assunta dalla pittura contemporanea come luogo esemplare per identificare la realtà sia esterna che dell'emozione, e quant'altro; la materia diviene linguaggio: e tuttavia la breve antologia conferma come il luogo esemplare di quest'indagine (da cui prende stimolo l'aggettivo "padano") abbia ancora un senso: i pittori respirano ancora in un "qui ed ora"; ed anche se la testa ed il cuore svettano in alto, nelle riflessioni che la cultura visiva si rinvia da un capo all'altro del mondo, i piedi (o le mani) rimangono saldamente ancorati al bisogno di realtà, magari anche solo per trascenderla. Agli inizi di questo dopoguerra, un grande scrittore, diceva che "un paese ci vuole, non foss'altro che per potersene andare" (Pavese): crediamo che con un sentimento non dissimile, ci si possa riferire alla pittura di paesaggio nella Padania d'oggi, dal momento che un paesaggio ci vuole, anche per poter navigare all'interno delle inquietudini dell'animo e dei linguaggi contemporanei.
Brescia, luglio 1993