L'accostamento tra Eros e Tanatos non è certamente privilegio della letteratura romantica; anche se - è facile intendere - nella letteratura romantica si ritrovano le più alte espressioni di quell'accostamento così essenziale e stringente all'interno della nostra cultura occidentale, rappresentando Eros l'amore, l'istinto sessuale, e dunque il principio della vita, e Thanatos la morte, e dunque la cessazione della vita, almeno nei suoi termini terreni. Del resto, il nome greco tanatos, se utilizzato con la lettera maiuscola, allargava il suo significato al luogo stesso dei morti, l'Ade, ed in tale modo viene identificato con l'Inferno nel Nuovo Testamento.
Il rapporto Amore-morte è dunque contrasto essenziale nella nostra storia culturale; ne consegue, che forse il lettore porta con sé accostamenti particolari, come quelli, celeberrimi, del grande Poeta di Recanati che accomunava i due termini come "fratelli" ingenerati ad un tempo dalla sorte (1).
La lettura leopardiana è talmente moderna, che anche la Morte viene interpretata, contro ogni fallace rappresentazione, come una "bellissima fanciulla". Ne va scordato, per altro, che il verso di Manandro posto a chiosa del Canto leopardiano, accomuna, per via interna, i due termini, quando afferma che "amore giovane colui ch'al cielo è caro".
Ora viene da chiedersi come mai un pittore d'oggi abbia voluto intitolare ad Eros e Tanatos un fondamentale ciclo pittorico (2). E l'importanza del ciclo appare non soltanto dalla dimensione, ma anche dall'analisi della sua produzione complessiva.
Il ciclo di Eros e Tanatos, posto alla metà degli anni Ottanta, indica una svolta, umana e poetica, che è bene
leggere e ripercorrere.
C'è una vicenda biografica dolorosa, cui Pescatori non fa mai menzione, che deve comunque essere richiamata. Agli inizi degli anni Ottanta, la piccola Carlotta, protagonista di tante immagini di domestica autobiografia nel lavoro di Pescatori, muore. Il verso di Menandro ritorna, in questo modo, come un doloroso suggerimento. Senza addentrarci più di tanto nella biografia di un autore schivo e appartato, almeno negli affetti e sentimenti più profondi, appare chiaro come l'evento ponga, in termini di dolore fisico e penetrante, il tema della Morte. L'affetto pone, al contrario, il tema dell'amore.
Dopo pochi anni dall'evento ricordato, Pescatori intraprende il ciclo da cui siamo partiti; e lo intraprende con la saggezza e la maestria degli antichi: prepara cartoni, elabora bozzetti, dà alle immagini una dimensione perentoria, da pala d'altar maggiore, se potessimo, in un ciclo laico, recuperare concetti che sono tipici della pittura di tema religioso - e pure, vedremo, molti termini di una profonda tematica religiosa emergono nel ciclo stesso -.
Il ciclo si muove attraverso alcuni momenti esemplari, tanto dal punto di vista religioso, con cui chiare e frequenti sono le analogie, quanto dal punto di vista laico, nella duplice lettura di un processo umano e di una autobiografia di cui abbiamo necessariamente fornito le coordinate. Pescatori apre il ciclo con l'Incontro, dal sapore più laico, che religioso; il ciclo si stempera e si addolcisce nella Annunciazione, in cui chiaro è il rapporto di tipo religioso, tocca un apice poetico attraverso la Natività, in cui ancora evidenti sono i segni della relazione con la vicenda cristiana, e si conclude, dolorosamente, sulla Morte, che è tema che riassume tanti andamenti della storia cristiana, ma anche tanti riferimenti ad una' più vasta storia umana.
L'impostazione delle tele (e per lapsus freudiano stavamo scrivendo "pale") è solenne e grandiosa: nessun elemento turba l'immagine, concentrata come è su pochi aspetti particolari, soprattutto sui protagonisti. Preme, se mai, sottolineare come i protagonisti vivano in un interno raccolto e chiuso, nel quale la luce appare come una presenza fugace, forse sempre funerea, a sottolineare quella sorta di metallizzazione che subisce il protagonista e trova la sua acme nella scena della Natività.
Il discorso della luce in interno, che tanto spazio avrà nelle vicende successive della pittura pescatoriana, va subito indicato, dal momento che è uno dei nodi della cultura visiva contemporanea, soprattutto in un'area come quella lombardo-veneta, che ha nella luce la sua "storia". E Pescatori ne è consapevole: la ricca quantità di citazioni, collocano l'opera consapevolmente all 'interno di un percorso artistico plurisecolare; Pescatori, cioè, vuole iscrivere la propria opera all'interno di una tradizione specifica, con cui si identifica o, più verosimilmente, con cui sente sintonie ed analogie.
Proprio per questo, le quattro opere che abbiamo indicato con i titoli "classici" sono state, dall'autore, diversamente intitolate: inoltre, le opere di Pescatori si muovono in una storia di riletture e sintonie all'interno della storia dell'arte.
La prima tela, Uomo e donna (noi abbiamo parlato di "Incontro"), si muove sulle orme dell'Umanesimo nordico: siamo al Dürer, ed ai suoi Adamo ed Eva. Lo spazio e la luce hanno subito una radicale trasformazione, dal momento che lo spazio sembra perdersi nel vuoto di una prospettiva preumanistica, mentre la luce sembra diffondersi da una sorgente non chiaramente identificabile. Ed
è sintomatico che, nel vigore dei corpi, solo quello maschile sia ricoperto dalla foglia di vite, mentre la donna sia in parte occultata dal suo stesso gesto, in parte dalle ombre dello spazio opalescente, costruito dal pittore.
La dimensione narrativa è ridotta al minimo; ogni dettaglio narrativo viene ritenuto supervacaneo, confermando questa scelta di stringatezza le ragioni autobiografiche, oltre che culturali, cui più sopra abbiamo fatto riferimento. Pescatori, misurandosi con la storia della propria condizione umana, e con la storia della cultura che ritiene più profondamente sua, elimina ogni accattivante dolcezza: l'opera è nuda e spoglia, come l'uomo di fronte alla verità.
Anche l'utilizzazione dei riquadri del pavimento, di stampo tardo-gotico, è funzionale al perdersi senza dimensione oltre la porta
socchiusa; di cui non intravediamo che una luce senza origine, una sorta di pulviscolo luminoso, di cui non conosciamo la causa. Discorso umano e sensibilità religiosa tendono costantemente a mescolarsi nel pensiero del pittore; il processo metallizzante è appena agli inizi, anche se già ne intravediamo i primi segni, soprattutto nel corpo della figura femminile.
Il secondo tema, l'Annunciazione, che Pescatori titola "Incontro - momento d'amore" si muove su una dimensione più cupa. L'ambientazione è ancora più spoglia: ancora una volta l'occhio non trova un punto fermo, ma si muove su un'apertura di porta socchiusa, senza un altrove chiaro, su una luminosità appena intravista, un pavimento a losanghe, più definito e più classico, una progressiva metallizzazione che tocca il corpo dell'uomo.
I due protagonisti dell'incontro d'amore vengono anch'essi dalla dimensione classica: lui è un "musico" di Raffaello (tratto dal Parnaso), mentre la figura femminile proviene da un raffaellesco di due secoli orsono, da Ingres ("La source"), immagine che può consentire al pittore di rappresentare una figura innamorata e schiva, una giovinetta casta, trepidante, ma riservata.
Anche quest'opera propone una frattura, in fine di pavimentazione, per dare il senso del vago: alla classicità dell'immagine si contrappone la anticlassica struttura dell'evento, più in linea con le composizioni dei tempi post-moderni che stiamo attraversando.
Alla metà degli anni Ottanta, mentre i più giovani - le più giovani generazioni - stanno imponendo tra i tanti postmodemismi anche il citazionismo, assistiamo al desiderio del pittore della generazione precedente di misurarsi sui temi dei più giovani, sia pure da una diversa angolazione - forse più alta, se oggi avesse un senso parlare ancora in termini valoriali -.
Pescatori tuffa dunque le sue prime immagini in una classicità rivissuta all'interno dei propri pensieri, in una dimensione narrativa spoglia, scabra, essenziale, per dare alla propria autobiografia il sapore dell'evento totale, ma anche per trovare nella poesia quelle ragioni profonde che forse non riesce a trovare nella storia. Da qui il senso segreto di una vicenda costruita con il silenzio dei protagonisti: è un ossimoro visivo di straordinaria efficacia, muovere in silenzio una vicenda, intessuta e scavata con il gridato di un espressionismo rivisitato.
La terza opera è la Famiglia (noi abbiamo parlato di Natività): è un'immagine felice, o apparentemente
felice. Il bambino gioca con un'altalena, i cui capi sono tenuti dalla madre, accovacciata sul pavimento, e dal padre, ritto e metallico, nel centro della stanza. Il bambino osserva incerto, forse impaurito.
Il pavimento riprende l'andamento della prima opera; ancora vi è l'interruzione e lo schema della porta - portale, in questo caso - socchiusa; una zona separa la stanza dal luogo del bambino, una sorta di angolo protetto.
Eppure non vi è gioia: ancora una volta manca la parola, manca l'aria. La luce, questa livida luce che tutto tramuta in metallo, è onnipresente, scivola sulla superficie dei personaggi, apre alla dimensione di stridente metallizzazione; l'opera si struttura con un disordine più drammatico, rispetto all'ordine compositivo delle opere precedenti. Del resto, il riferimento iconografico va alle radici stesse dell'espressionismo pescatoriano, alla "Famiglia" di quell'Egon Schiele che tanti drammi ha saputo intrecciare alle sue rappresentazioni domestiche.
Il riferimento sposta l'autobiografia culturale di Pescatori su termini più moderni: ma è uno spostamento temporale che dura un attimo. Il ritorno bruciante - nell'opera terminale del ciclo - verso la cultura amata di un'antichità riletta nel proprio passato autobiografico non può che cadere su una pagina di quel manierismo bresciano che della cosiddetta "scuola bresciana" rappresenta uno dei nuclei di forza.
Il suo "Requiem" (noi abbiamo parlato di Morte per dare il senso tragico dell'evento) si basa su un'opera del Moretto, "Il Cristo e l'Angelo", dall'indicibile sofferenza.
La stessa struttura dell'opera riprende il tema morettesco: la scalinata, il volto corrucciato dell'Angelo che presta il suo sembiante alla figura femminile nel ciclo della coppia, un sudario intessuto di spezzettature cubiste, a ricoprire l'uomo di cui intravediamo la sagoma antropomorfa e pochi tratti.
Il cerchio si chiude: anche il pavimento si è semplificato. La ridondanza narrativa di scalinata e colonnato non elimina la concentrazione trattenuta del dramma della morte dell'uomo, metafora evidente di una condizione universale, confessata ampiamente dallo stesso autore, che presentava il suo ciclo, nel 1987, attraverso un'autopresentazione sotto forma di lettera al "Prof. Dott. S.F. di Wien". Nel testo, Pescatori parla esplicitamente del dottor F. che "intende continuare l'analisi senza l'ausilio del divano, ma ricorrendo al linguaggio che mi è più congeniale, la pittura" (3) il riferimento autobiografico appare evidente e confessato.
Il ciclo nasce come esperienza sofferta di un dramma individuale: la grandezza dell'artista si misura nella sua capacità di elevare il momento individuale a dramma universale. E tale passaggio avviene per il tramite dei riferimenti culturali e dello stile, che abbiamo sommariamente indicato ed analizzato. La nostra lettura era necessaria "anche" per comprendere il ciclo specifico dedicato a Giulianova, che è occasione di questa mostra abruzzese. E lo è doppiamente, dal momento che Pescatori giunge alla "Natura in posa" ed al ciclo di acquerelli dedicati al paesaggio di Giulianova, proprio attraverso il passaggio strutturale che
abbiamo indicato.
In un certo qual modo egli compie, al pari di tanti altri della sua generazione, un processo maturativo essenziale, da una sfera che sarebbe facile - forse semplicistico - definire del politico, ad altra che è egualmente facile e semplificante definire del privato. Certamente, dalla metà degli anni Settanta alla metà degli anni Ottanta, con percorsi e scelte individuali, una serie non piccola di pittori e scultori della generazione anni Trenta si trova a fare i conti con una storia politica, ormai bruciata in termini assillanti. Di lì a poco se ne sarebbero accorti tutti, anche i più superficiali e distratti. Certamente gli artisti iniziano a prendere le distanze da una battaglia politica, che sta spostando nelle strade le contraddizioni del sociale, sta scardinando le consuetudini del vivere quotidiano, secondo una casistica i cui guasti, da tutti i punti di vista, non sono ancora stati pienamente calcolati. Ciò che si era interpretato come "progetto" viene a modificarsi nella prospettiva di un discorso sull'uomo: non più il qui ed ora, legato ad una ideologia, ma piuttosto l'uomo, legato all'eternità della cultura; non più la cronaca, ma piuttosto la storia.
Attraverso il contatto con la sofferenza autobiografica, Pescatori giunge a riflettere sull'uomo e sulla storia, senza più rivolgersi alle vicende occasionali: non era mai stato, in verità, un cantore di fatti, ma piuttosto di stati d'animo. Certamente
il salto appare radicale: tanto più che, prima del ciclo, Pescatori aveva vissuto una pausa di riflessione, caratterizzata più dal silenzio, che dalla ricerca produttiva.
Dopo l'elaborazione del ciclo che abbiamo velocemente interpretato, Pescatori ritorna alla pittura, ritorna a temi che, in parte, appartengono alla sua storia (come la "natura morta"), ma in parte sono nuovi (il paesaggio, per esempio). Nuova è certamente la qualità dell'elaborazione, la trasformazione della "natura morta" in Vanitas. Anche i paesaggi, in verità, quando compaiono, vengono assumendo un andamento diverso, recuperano lo spessore delle "Terre nere" di vangoghiana memoria. Pescatori, infatti, non si muove più sull'ottica della semplice interpretazione del mondo, ma in quella più profonda dell'elaborazione di un mondo che solo occasionalmente si avvale di materiali del quotidiano. È la scelta "generazionale"
di misurarsi con la storia, ma è anche la scelta individuale di misurarsi con il dolore.
Ritorniamo ai temi iniziali di spazio e luce, che abbiamo sottolineato in apertura: per l'artista bresciano, ormai, la rappresentazione gioca i ruoli simbolici della scoperta dei suoi riferimenti essenziali. Pescatori cerca lo spazio, ritorna, in un certo qual senso, ad
uno spazio rinserrato attorno all'oggetto, anche se contemporaneamente dilata la rappresentazione soprattutto per effetto della rarefazione
e decentramento dell'immagine centrale, per effetto del raffreddamento delle cromìe, ancora per la comparsa di elementi tonali, assenti da moltissimi anni dalla sua tavolozza. L'incontro con la pittura, dopo il ciclo sulla vita, appare doppiamente importante:
c'è una sorta di rinascita, una giovinezza dell'immagine e della memoria; dall'altra parte c'è una rinnovata felicità
espressiva, trovandosi l'artista a fare i conti più con la propria sensibilità, che con le ragioni del gusto. Pescatori ormai lavora fuori moda, non certo fuori tempo.
Le nature morte vengono assumendo un andamento simbolico: da una parte il tuffo in un recupero colto della propria storia culturale (ed è la fiscella (4) di merisiana memoria), dall'altra un ritornare, non casualmente, sui temi di quella "storia lombarda" che avevamo visto incontrare alla fine del ciclo, con la citazione morettesca. Pescatori, contro le tendenze totalizzanti ed internazionali della nuova pittura, esprime il radicamento nella storia, nel passato, ma anche il radicamento sugli oggetti. I suoi cieli, così come i comodini, la stessa canestra che sostiene la frutta appartengono ad una storia materiale e visiva profondamente lombarda, venata, se mai, di luminosità venete, che egli rende opache attraverso il raffreddamento dei toni. Pescatori sembra poter sorridere, non mai gioire.
La storia dei suoi oggetti è dunque la storia di una quantità di simboli, che vanno ai nodi dell'uomo, alla riflessione sui
fondamenti valori delle nostre vicende.
In senso diverso, Pescatori si muove sul paesaggio.
L'incontro con Giulianova è un incontro tra una macchia azzurra (o biancazzurra) ed una macchina verde. Gli elementi tonali, che prima avevamo evidenziato, appaiono ora come essenziali in una rielaborazione paziente della materia pittorica. Pescatori è ancora fuori moda. Nel momento stesso in cui l'arte concettuale ha messo l'accento sull'uso della fotografia, Pescatori parte con il suo taccuino, prende appunti, si muove incontro al paesaggio, come si muove Gustave nell'incontro con gli amici (5), nella pianura di fronte alla città di Montpellier. E come il grande realista, l'appunto serve a tradurre l'emozione cromatica della realtà: noi "sentiamo" il sole meridionale di una campagna assolata, mentre Courbet si ferma di fronte all'amico e collezionista Jacques Louis Alfred Bruyas, a passeggio con il fedele servitore; allo stesso modo, sentiamo il tono dei colori abruzzesi, sentiamo il mare che si muove in distanza, anima il cielo che assume una particolare intensità di blu ed azzurro, così come abruzzesi sono i riferimenti
emozionali e cromatici che Pescatori ferma con i suoi acquerelli.
Chi volesse una realtà fotografica andrebbe probabilmente deluso: non è una Giulianova reale, ma una Giulianova vissuta nel rapporto intimo con la pittura, che di Pescatori è diventato linguaggio primario. Pescatori non dipinge realisticamente la città: ne dà un'immagine che ha la realtà della sua privata percezione. Dicevamo più sopra che Pescatori dipinge stati d'animo; anche di fronte al paesaggio, Pescatori fa pesare il suo stato d'animo.
Questo spiega, come mai, Pescatori cerchi spesso il particolare. Esauriti i luoghi magici dell'incontro con la città, esaurito il rapporto con il paesaggio, con il verde della collina, con l'azzurro del cielo, con la striscia di mare in lontananza, Pescatori va alla ricerca dell'umore segreto della città, attraverso la ricerca dei particolari: non più visioni d'assieme, dunque, ma visioni particolari, aspetti peculiari, che esemplificano un po' la "pelle" stessa della città.
La svolta epocale, vissuta da Pescatori nei termini che abbiamo indicato, è stata senz'altro la svolta-chiave per comprendere l'ultima sua produzione. Anche di fronte all'onere di trovare un punto d'incontro ed una mediazione tra l'immaginario collettivo e la visione individuale dell'essere pittore (del mestiere di pittore), Pescatori trova nella sua dimensione pittorica la risposta e la risoluzione di una difficile contraddizione. Ancora una volta, la concentrazione sull'operare definisce il linguaggio. Pescatori dialoga con la realtà, va incontro ed in cerca degli umori della città abruzzese, ne legge nei blocchi di pietra la storia, ma anche le fatiche, le cicatrici di antiche ferite: Pescatori cerca, anche nel paesaggio, come già nella natura morta, quella dimensione esistenziale che aveva dibattuto all'interno del tema di Amore e Morte. Non è dialogo facile: da una parte, la soglia inferiore di una simile operazione, c'è la descrizione, la didascalia narrativa di una realtà, sentita solo epidermicamente; dall'altro,
la soglia superiore, l'assoluta soggettivizzazione del paesaggio, e la sua trascrizione in termini di pura simbologia, elegia, trascrizione mentale
È una doppia trappola, cui Pescatori rifugge. Non può accettare la mera descrizione, il semplice esercizio di alta calligrafia, ne certamente può perdersi nel solipsismo, perdendo ad un tempo il contatto formale con il linguaggio, tramite tra il sé e gli altri. Le grandi riflessioni sulla vita e sull'uomo, sulla morte e sull'amore, restano anche nelle pietre di Giulianova. Non è più una narrazione di eventi, ma una sofferta meditazione sui medesimi termini del suo operare pittorico.
Le case di Giulianova, il suo cielo, i suoi colori, il verde dei suoi paesaggi hanno la stessa caducità delle "vanitas" di tante nature in posa del pittore. Attraverso il contatto con la realtà, naturale ed umana, che è in fine, il paesaggio della città, troviamo il senso dell'uomo che questo paesaggio ha visto, amato, capito, costruito. Sembra, con questi acquerelli, di ripercorrere una storia già scritta da uno dei maestri della fotografia contemporanea, Mario Giacomelli, che è di questi .luoghi. Anche Giacomelli legge nel paesaggio le architetture contadine che gli uomini hanno faticosamente costruito ed elaborato nel corso dei secoli.
Così Pescatori. L 'artista bresciano, dopo lo stupore - che qua e là compare - per un paesaggio nuovo per i suoi occhi, vive l'accostamento al paesaggio nei termini di appressamento alla vita: Pescatori va alla ricerca di quella qualità di lavoro che ha fatto grande il paesaggio che possiamo ammirare. Così coglie un colore che sa di fatica e gioia, così ferma una pietra che sa di sofferenza: non si tratta di pure immagini, ma sobrie rivisitazioni.
La grande lezione venuta dalla storia a tutta una generazione, si condensa nella capacità di far cagliare l'immagine nei termini rappresentativi che abbiamo indicato.
Anche sul piano stilistico viene la conferma di quanto andiamo esponendo. L'acquerello è mezzo immediato e difficile: abbisogna di lungo amore e grande certezza di mano.
Pescatori sceglie l'acquerello come elemento diretto della massima concentrazione, e come luogo tradizionale per l'immagine del paesaggio. È un paesaggio umorale, immerso nelle riflessioni e nei simboli, quello che viene dall'acquerello. Pescatori sa bene che occorre la certezza dell'idea, per dar fondo al paesaggio. Attraverso il paesaggio ad acquerello, Pescatori elabora una strategia di simbolizzazione dell'immagine, affinché possa ad un tempo mantenere la fedeltà dell'occhio e dar spazio alla fedeltà della mente (o del cuore).
La scelta del mezzo non è dunque scelta ininfluente: gli consente di mantenere la freschezza (lo stupore) del primo impatto, e di avere quella compiutezza formale, che unica salva il linguaggio dall'oblio delle inutili parole delle mode. Anche in questo senso, contro moda, non contro tempo.
Dalla macchia biancazzurra che traduce Giulianova viene lo spazio del verde del pendio che dalla città scende verso il mare. È l'apertura verso una dimensione dello spazio, che "apre" la riflessione dell'artista su nuove visioni. Ancora una volta,
la luce e lo spazio trovano il punto d'incontro nell'opera e diventano i luoghi essenziali per una riflessione che non voglia semplicisticamente cadere o ricadere sul quotidiano: anche questa è la lezione che viene dalla storia, da una vicenda esemplare di una generazione, passata dall'euforia di una ricostruzione, alla nostalgia di una realtà di più solidali rapporti, alla constatazione di una materialità senza spirito, che certamente contraddice quell'euforia, in cui si era misurata. Ed è lezione che va oltre, metaforicamente, il breve spazio di un'operazione culturale.
Brescia, maggio-giugno 1991
Note:
1) Il riferimento va al canto intitolato "Amore e Morte", 27° dei canti leopardiani, composto nell'autunno 1832.
2) Esposto per la prima volta a Brescia, nell'autunno 1986, Galleria Schreiber, il ciclo contiene, come autopresentazione, una lettera indirizzata al Dott. Prof. S.F. di Vienna, e la riproduzione delle quattro tele.
3) Nel catalogo citato, la frase ripresa rappresenta possiamo dire l'incipit della lettera di autopresentazione.
4) La "canestra" caravaggesca caratterizza tutta la stagione degli anni Settanta; il recupero colto di Pescatori va nella duplice direzione di rileggere una propria pagina significativa.
5) Ci riferiamo all'opera di Courbet, nota con il titolo "Buongiorno, Signor Courbet".