Il riconoscimento di un'autonomia di linguaggio, di ricerca e l'individuazione della pittura di Pescatori, insieme a quella di altri giovani artisti bresciani, quale fenomeno originale e coerente, avviene da parte della critica tra la fine degli anni '50 ed i primi anni '60; Elvira Cassa Salvi (1) sottolinea "la liberazione da un peso troppo realistico nella resa dei significati riposti", raggiunta intraprendendo la strada di una sorta di neoespressionismo, partecipato e spontaneo, che da una parte guarda al neorealismo esistenziale milanese, dall'altra se ne distacca; ancora la Cassa Salvi (2) scrive infatti: "...ai pesanti schermi neri rotti da riflessi bianchi e sanguigni, ora subentrano schermi pallidi e nebbiosi, da cui affiorano immagini scure. Ma tutta la materia dei quadri è più mossa ed inquieta, e i riferimenti non portano alla recente pittura milanese, soffocata dall'angoscia, ma piuttosto all'ironia tagliente e polemica di Benh Shahn...".
Mauro Corradini (3) legge il passaggio tra gli anni '50 e '60, come essenziale per l'evoluzione pittorica di Pescatori e, soprattutto, vi vede la comparsa di elementi chiave dal punto di vista iconografico: "...è una serie pittorica importante quella che "inizia", possiamo dire, il discorso del nostro artista. L'espressività è affidata alla stringata narrazione: dai fondi - stanze soprattutto - iscuriti emergono forme - volti, mani...; ma sono volti e mani che hanno subito la rilettura attraverso un'indagine itrospettiva; sono forme piatte, che poco concedono alla narrazione, puntando tutto sull'efficacia dell'emozione prodotta. Altri elementi del vivere quotidiano - come lo stesso apparecchio televisivo o il balcone - si trasformano di volta in volta in elementi magici, o magico-opprimenti...".
A partire dalla metà degli anni Sessanta avviene una nuova 'svolta' dal punto di vista stilistico-iconografico: "...è il nuovo rapporto uomo-natura che si viene sviluppando su grandi, intense campiture", scrive Mauro Corradini (3); infatti la struttura, l'organizzazione compositiva del dipinto diviene più razionale, gli oggetti compaiono in numero limitato ed assumono valenze simboliche.
Di nuovo Elvira Cassa Salvi (4) coglie questa 'mutazione': "...Fugate le nebbie e le esitazioni di un tempo, ora le immagini si stagliano su orizzonti nitidi con nervosa, mordente energia plastica ed espressiva. Sono schermi abbacinanti e striduli, sono spazi invasi da fulgori acidi e sulfurei, entro i quali, tra il fiammeggiare di una flora ostile, si svolge la vita di noi tutti, piccole parti di una civiltà prestigiosa".
Agli inizi degli anni Settanta è il riconoscimento 'globale' da parte dei critici sulla raggiunta maturità del pittore.
Proprio nel Settanta, Mauro Corradini (5) esordiva in un articolo con queste parole: "...occorre dirlo subito; Pescatori è un pittore razionale; e voglio, con questo aggettivo, definire non solo il processo di sedimentazione dell'immagine che si visualizza sulla tela, ma anche e soprattutto il processo "logico" che interviene in lui allorche' pensa ad un quadro. Le opere di Pescatori, cioè, prima ancora di essere pittura, sono il risultato di una scelta culturale che dipana il dato intellettuale per tradurlo in immagine;...".
In occasione della mostra presso la Galleria dell'Agrifoglio a Milano numerosi sono gli interventi critici nei quali si pone la questione del 'realismo-non realismo' del pittore e la conseguente natura simbolica - per alcuni 'magica' - degli oggetti rappresentati. Raffaele de Grada (6), ad esempio, nota: "Carlo Pescatori ci sa offrire senza equivoci le immagini di oggetti lontani (una conchiglia su una balaustra, una farfalla ritagliata su un cielo piatto, un bucranio sfuggente su un ninfeo, un'intima visione di una poltrona su di un terrazzo strisciato dalla pioggia) ma realisticamente controllati... Pescatori non è un realista nel senso dell'arte che cerca l'immagine dell'uomo. Nella sua pittura non episodi, non fatti, ma neppure retorica, abbastanza frequente, dalla sagoma astratta dell'uomo. Pescatori va più in là, non si consola neppure con I'animismo surreale che fa vedere gli alberi come candelabri di occhi o che minia fantasie come nei codici antichi. Quello di Pescatori è un realismo oggettivo, come in certi film di Antonioni".
Anche Elvira Cassa Salvi e Guido Giuffrè mettono in risalto e tentano di chiarire i motivi della scomparsa dell'elemento umano e della narrazione.
Così scrive la prima (7): "...nelle pitture ultime l'emozione si è fatta più intima e controllata, tende a non deformare più le immagini, ma a calarvisi dentro, a coincidere con i contorni netti delle cose di ogni giorno, colme, nella loro apparente inerzia di una densa carica allusiva. La figura umana si affaccia appena ai margini per lasciare posto al linguaggio conciso e intenso degli oggetti, colti in una luce fredda e immota, quasi di ghiaccio... ".
E Guido Giuffrè (8), ancora: "Già protagonista, la figura umana è venuta via via scomparendo da un discorso vieppiù incardinato sull'uomo; dove la prima descrizione di un fatto, assai più che l'allusione o il simbolo, dava nei termini alterati che lo configuravano l'esplicito giudizio o la condanna, ora la muta, lapidaria presentazione degli oggetti non suscettibili di lettura analogica, suggerisce, assai più che un giudizio, l'inesprimibile dubbio su un ordine umano che non riconosce sé stesso".
Torna sul tema del realismo l'intervento di Mario de Micheli (9), del '73: "Il tema fondamentale della sua pittura è il tema del rapporto impossibile con una realtà resa enigmatica all'uomo da un'azione di una società artificiale, denaturalizzata. L'ottica di quest'uomo diventa così fredda e crudele. Lo spettacolo del mondo si cristallizza, si tende in una staticità assoluta, perchè l'occhio dell'uomo ha perduto la sua umanizzante virtù di conoscenza e di rapporto, ha cessato di essere organo emozionato ed emozionante per ridursi ad impassibile specchio di una natura muta, sigillata, impenetrabile.
Nei primi anni Settanta avvengono altri leggeri 'spostamenti' nella pittura di Pescatori: compaiono nuove presenze d'oggetti, di 'luoghi', di riferimenti naturali, paesistici. Sono nature morte, spiagge, citazioni del repertorio classico - archeologico (resti di sculture, capitelli, ecc...); di nuovo su questi ultimi temi si legge in una recensione della Cassa Salvi (10): "...il ritorno furtivo di elementi classici nel contesto di opere niente affatto neoclassiche, assume oggi un significato ben diverso, anzi rovesciato... la bella testa greca s'accompagna a sudari, spugne inzuppate di fiele, ecc., ma poi essa stessa appare ulcerata, ferita; e dagli occhi, dalla bocca, trasuda un sentimento di pena profonda, di malinconia simile a quello che vela il volto degli dei alessandrini, prossimi al tramonto".
Sempre nel corso degli anni Settanta i critici che si sono interessati a Pescatori hanno evidenziato i due principali poli sui quali si orienta la rappresentazione pittorica: il tema, cioè, del degrado ambientale contemporaneo ed il guardare al passato, in senso colto e raffinato, cogliendo in questo una dicotomia, una conflittualità per certi versi insanabile. In questo senso scrive Guido Stella (11), nel '76: "abbiamo così tutto un vocabolario figurativo di un 'discorso sull'impossibile discorso' di una realtà che non esalta la fantasia, ma è oggetto di una spettrale disanima, di un'anatomia minutissima in una doppia direzione. Da un lato ci si richiama, appunto, per antitesi, per contrasto, per condanna, a tale realtà, quella quotidiana e quella storica. Dall'altro si intesse un rapporto dialettico con il passato dell'arte (raffigurato nella lezione del Caravaggio) e con la propria identità lacerata di artista, diviso in sè stesso perchè appartenente ad una società divisa...".
Floriano de Santi (12) in un articolo del '75, a proposito d'una mostra alla galleria "Fant Cagnì", sembra essere sulla medesima linea interpretativa, quando scrive: "Il reperto archeologico e la mimesi della pratica della natura d'arte indiziano l'impossibilità oggettiva di aderire, oggi, alla totalità esistenziale ed alla sua traduzione artistica in termini di bellezza e di equilibrio".
Sul finire degli anni Settanta Pescatori dà inizio ad una serie di opere che hanno come frequente soggetto il suo studio di pittore - lui presente o assente, ed in tal caso sostituito da un cavalletto o da un quadro -.Luciano Spiazzi (13) parlerà a proposito di questa nuova fase, di voluta "dimessità di mezzi toni e silenzi", unite però ad un enorme progresso tecnico - stilistico nel campo grafico: "...sgombrato il campo da temi che inducevano a volte alla declamazione, Pescatori, fattosi sempre più esperto soprattutto nel mezzo grafico, ha limitato il cerchio delle sue immagini, le approfondisce con minuziosa pazienza, avanza per passi lenti, provocando inchiostri nuovi, matite diverse, conscio che arte è tecnica, mestiere rigoroso, ricerca di sfumature che sono la grammatica e il lessico insostituibili per chi intenda esprimersi".
Elvira Cassa Salvi (14) nota anch'essa il 'ripiegamento' su sè stesso del pittore: "...riflette su sè stesso, dialoga con sè stesso, si osserva e si interroga.
L'oggetto qui non è il 'linguaggio' come spesso avviene: i mezzi del fare pittura - colori, telaio, ecc. - ma proprio lui il pittore per intero, il suo "potere"; fonte e promessa di un nuovo racconto".
È dell'80 una mostra di incisioni presso la Galleria 'Cartesius' di Trieste: Bruno Passamani (15) in occasione della presentazione, rimedita tutto il percorso artistico di Pescatori, inserendolo in quell'area dell'arte contemporanea nella quale "la riproposta dell'oggetto" è sintomo di una volontà di ricerca valida ancora negli anni '80. Riconosce pertanto un filo che unisce l'operare della 'Neue Sacklickeit' al surrealismo degli anni Venti - Trenta, alla Pop Art, fino a quell'arte che "fa i conti con un certo sistema di codici attuali (la foto/cinematografia)". Il risultato - ed è appunto il caso di Pescatori - è una pittura in cui "il contesto figurativo si organizza nel montaggio di elementi estratti dalla realtà, nei quali i livelli significativi superano le usura te quote del banale quotidiano per riacquistare spessore e forza semantica e, nel rapporto con gli altri oggetti e lo spazio, pur esso significante nelle sue non casuali strutturazioni, valore di proposizione simbolica ".
Leggendo più da vicino le opere di Pescatori, trova due momenti essenziali nel suo percorso artistico: "da un iniziale discorso per immagini a carattere declamatorio e generale, avente come tema quello che potremmo definire con una formula 'disagio della civiltà'...negli anni più recenti, a partire grosso modo dal '77 giunge a fare oggetto di indagine non solo il proprio rapporto di pittore con la realtà, ma anche gli stessi strumenti con i quali questo rapporto si realizza. Il che equivale a chiedersi se dipingere o incidere abbia ancora un senso e in quale forma debba riproporsi l'eventuale rapporto con la realtà ".
Gli anni '80 sono dunque gli anni della meditazione autobiografica, venuta però ad ampliarsi verso considerazioni universali sull'umanità, e del confronto con la storia dell'arte, della cultura passate.
L'esito è una pittura 'ricca' nel senso iconografico e tecnico. A proposito delle "Nature morte" di questo ultimo periodo, Mauro Corradini (3) così scrive: "...che ci sia stato uno spostamento di obiettivo, lo si coglie anche in queste preziose "nature morte", in cui a malapena scorgiamo il trascorso cammino... Pescatori dipinge la natura morta, memore certamente dell'antica - secentesca -"vanitas", memore dunque del "memento mori" che ad essa era collegato. Ma come se fosse liberato da un dramma cupo e sotterraneo, a lungo covato sotto la cenere della pelle, Pescatori pare farsi cantore di più colloquiali rapporti, pare aprirsi alla vita con una nuova felicità narrativa e pittorica".
La mostra dell'88 alla galleria Schreiber - e le seguenti -, fissano definitivamente all'analisi ed al successo della critica questo nuovo repertorio del pittore.
Fausto Lorenzi (16) scrive: "...L'uomo - dice Pescatori -, deve ritrovare il passo giusto, la misura delle cose. La frutta allora, le nature morte come allusione ai cicli vitali della natura, ai tempi primordiali. Dominante è la citazione della 'canestra di frutta' del Caravaggio. Ma qui la luce non è calda e ferma, fa una sorta di rotazione tra interno ed esterno del quadro in un'ambigua sospensione. Tutte queste nature morte sono una meditazione sulla luce come materia che sta dentro il quadro".
Ezio Maglia (17) a proposito della stessa mostra, rileva: "...c'è qualcosa di affascinante, di antico e di nuovo in questi dipinti, accorate e domestiche 'vanitas'...
Nelle nature morte, frutti in particolare, la luce naturale emana dal pigmento stesso, spesso e denso, che porta i segni qua e là di un sottile malessere, di un'insidia, forse inquinamento o forse forzata maturazione, alterazione di sapori ed umori. La calma, la possanza, la qualità di queste nature morte quasi in posa, esaltate da sfondi damascati, sembrano collocarsi lì a far da argine alla moda dell'esotico e dell'innaturale".
E. Concarotti (18), "Carlo Pescatori persegue un'armonia compositiva tipo pittura tradizionale, un pò celebrativa ed anche splendidamente decorativa... dall'altra sembra contestare questa stesura iconografica con i singolarissimi colori dei suoi frutti che non sono golosamente mediterranei e solari, ma piuttosto irreali, metallici e quasi plastificati".
Luca Giannelli (19), in occasione della mostra di Pescatori a Milano scrive:.. "...Spingendo a conseguenze estreme il suo universo eccentrico, sospeso tra realismo e iperrealismo, Pescatori è giunto ora alle opere esposte alla Cedis (sigillate nel titolo "Settimana della Vanitas"), che costituiscono insieme un coraggioso risultato e un importante punto di non ritorno. Dopo Piero della Francesca (le grando tele della metà degli anni Ottanta), l Caravaggio: nella sua celebre "canestra di frutta" l'artista bresciano ha individuato un oggetto-archetipo da far brillare e "consumare" durante i sei giorni della settimana: sei momenti di riflessione sulle miserie della vanità che fa pensare all'Ecclesiaste ma anche, con il suo insistere sulla ripetizione, ad una voluta esorcizzazione delle angosce del nostro stesso vivere.
La "canestra" è la realtà "altra" (quasi una naturalistica versione dei fiori e delle Marilyn Monroe di Warhol). Gli oggetti che Pescatori accosta ad essa - un'arancia sbucciata, una pesca appesa ad un filo (un simbolo dell'umana fragilità ricorrente nei suoi quadri), un pezzo di pane - sono tracce di un sentire che pur soffocato continua a muoversi, e muovendosi, a farci vivere; sono frammenti che danno corpo allo sguardo inferiore, dettagli apparentemente banali ma in realtà ineludibili in cui l'uomo è chiamato a riconoscersi. Nature morte, sì, e ricomposte in una luce che non può che essere artificiale - giocosa e apocalittica ad un tempo - ma cui Pescatori sembra aver demandato il compito di concettualizzare l'indistinto, sussunto in una visione che di tutto può fare a meno tranne che dell'animo.
Note:
1) Elvira Cassa Salvi, "Fasser, Pescatori, Gallizioli", ne "Il Giornale di Brescia", Brescia, 28 maggio 1959.
2) Elvira Cassa Salvi, "Carlo Pescatori" ne "Il Giornale di Brescia", Brescia, 4 novembre 1962.
3) Mauro Corradini, "Carlo Pescatori: l'uomo, la natura, la pittura", nel catalogo della mostra antologica tenutasi nel comune di Pontevico, Brescia, marzo - aprile 1987.
4) Elvira Cassa Salvi, "Carlo Pescatori", ne "Il Giornale di Brescia", Brescia, 2 giugno 1968.
5) Mauro Corradini, "Un pittore 'razionale': Carlo Pescatori", in "Opinioni", Bari, febbraio, 1970.
6) Raffaele De Grada: "Carlo Pescatori, nella rubrica radiofonica "Le sette arti", RAI, 3° programma, Milano, 20 aprile 1970.
7) Elvira Cassa Salvi, "Presentazione", nel catalogo della galleria L'Agrifoglio, Milano, aprile 1970.
8) Guido Giuffrè, "Presentazione", nel catalogo della galleria Fant Cagnì, Brescia, 14 novembre 1970.
9) Mario De Micheli: "Ha dieci anni il 'superrealismo' italiano", in "Bolaffi Arte", Torino, gennaio 1973.
10) Elvira Cassa Salvi: "Carlo Pescatori", ne "Il Giornale di Brescia", Brescia, 28 novembre 1972.
11) Guido Stella: "Carlo Pescatori", in "La Voce del Popolo", Brescia, 23 gennaio 1976.
12) Floriano De Santi: "Immagini e memorie", nella rubrica "Arte e società", in "Bresciaoggi", Brescia, 20 dicembre 1975.
13) Luciano Spiazzi: "I 'silenzi' di Pescatori", in "Bresciaoggi", Brescia, 31 marzo 1979.
14) Elvira Cassa Salvi: "Carlo Pescatori", ne "Il Giornale di Brescia", Brescia, aprile 1979.
15) Bruno Passamani: "Presentazione", nel catalogo galleria Cartesius, Trieste, 26 gennaio 1980.
16) Fausto Lorenzi: "Nelle nature morte la moralità delle cose", ne "Il Giornale di Brescia", Brescia, dicembre 1988.
17) Ezio Maglia: "Le accorate 'vanitas' di Pescatori", in "Vita", Cremona, dicembre 1988.
18) 1988 Ennio Concarotti: "Il destino dell'uomo in un cesto di frutta", in "Libertà", Piacenza, 19 febbraio 1988.
19) Luca Giannelli: "A Milano i quadri di Carlo Pescatori: realtà trasfigurata per fuggire il nulla", ne "Il Popolo", Roma, 19 novembre 1990.