Esiste un filo sotterraneo, rintracciabile
nell'espressionismo, che caratterizza tutta la vicenda artistica
di Carlo Pescatori. Ma in questa apparente omogeneità
espressiva, in questa continuità regolare della sua operazione
artistica, vanno subito considerate alcune difformità,
anomalie che, come nel metodo psicoanalitico, possono servire
da indicatori di una certa scelta, o da cartine di tornasole
per la verifica di un itinerario artistico ormai lungo oltre
un trentennio.
E la prima difformità, rispetto alla data anagrafica,
è la pressoché totale assenza delle ascendenze
di matrice "realista", pur in presenza di una chiara
scelta in campo verisimile. Eppure Pescatori è nato nel
1932, si affaccia alla pittura - dopo gli studi tecnici - alla
fine degli anni Quaranta inizio anni Cinquanta, quando nel "campo"
della verisimiglianza esisteva un'ampia componente legata al
neorealismo. Erano gli anni delle polemiche e delle "barricate":
più e più volte se n'è fatto cenno, tanto
che non mette conto attardarvisi per più di un breve richiamo
(1).
In quegli anni, la scelta del realismo appariva, per più
versi, estremamente significativa. Eppure Pescatori non vi aderisce.
È probabile che le origini cattoliche e la forte connotazione
politica del realismo abbiano agito da elemento di repulsione,
allontanando l'artista dalla scelta di campo. Ma dovremo pur
riconoscere che dovevano esistere anche scelte di poetica, che,
per così dire, corroborassero tale indicazione: altrimenti
l'indicatore politico, di per se, non sarebbe bastato.
Purtroppo, gran parte di quel lavoro giovanile è andato
perduto: abbiamo visto alcune opere, in cui era leggibile, se
non altro, il richiamo alla cultura paesaggistica del post-impressionismo,
mediato attraverso Utrillo, cultura attraverso cui i paesaggi
urbani si delineavano per mezzo della corposità dei muri
e delle cromìe un po' illividite dal tempo delle facciate.
Anche questa acquisizione giovanile, prima dei vent'anni, appare
caratterizzata da un "mancato realismo", almeno nelle
forme conosciute e più vulgate da noi. Conviene forse,
per trovare altre indicazioni utili, richiamare, seppur per accenni,
la sua educazione, il contatto con la pittura, mediato attraverso
il lavoro del padre - restauratore -, oppure ritrovare, nella
storia visiva della città, quei segni che conducono all'espressività,
all'espressione come evidenza della passione interiore. In quelle
peregrinazioni con il padre nelle chiese delle valli, con la
bicicletta ed i pennelli, il giovane si accostava ad un mondo
pittorico che al fascino dell'immagine univa la magia di un racconto
ininterrotto, la magia del colore, la magia della forma che la
verità concretamente certa della pittura realizza sulla
tela o sul muro.
La prima opera che possediamo, già indicativa di una serie
di scelte stilistiche - alcune continuative -, pare oscillare
su più registri: Il ragazzo e il nido (databile
1953) si articola su tinte chiare, abbastanza anomale nella produzione
pescatoriana, e contemporaneamente, pare voler evocare un racconto
dominato dal rapporto "dentro-fuori", tra il realismo
e la magia, tra la rappresentazione della realtà e la
fiaba. Cosa rappresenta infatti l'accostamento del volto del
fanciullo imberbe - volto da cui da poco tempo l'artista stesso
si è allontanato - con un nido posto su una nodosa - espressionistica
- biforcazione arborea? È un addio all'infanzia, o uno
sguardo pensoso al passato? La natura è elemento gioioso,
ma esterno; in fondo la lettura si concentra sulle domande inespresse
del giovane. E i colori, così giocati sulle tonalità
"chiare", paiono recuperare, nell'andamento, i ritmi
lenti della Secessione.
Ad un contesto interno, nazionale, con cui un giovane degli anni
Cinquanta doveva commisurarsi - un contesto che si articola e
si scandisce su presenze precise, nella nostra città,
dall'organizzarsi dell'A.A.B. alla nascita del Premio Brescia,
per intenderci -, si aggiunge il contesto internazionale. Attraverso
alcune - timide - riviste, giungevano pure in Italia le immagini
delle avanguardie storiche. Molti artisti bresciani erano andati
- pellegrinaggio laico ed artistico ad un tempo - a Parigi: le
"novità", in quei primi anni Cinquanta non erano
più così eclatanti come lo erano state pochi anni
prima: ma mantenevano intatto il fascino che poteva interessare
un giovane, cresciuto alla severa scuola del restauro.
Gli anni Cinquanta, anni fecondi, formativi, sono attraversati
e percorsi dal brivido della scoperta. La scoperta è a
largo "spettro": Pescatori ammira Sironi, riletto soprattutto
nelle "periferie", pre-regime, ancor più significative
nel clima ricostruttivo di quegli anni; un Sironi più
idoneo ad esprimere la città che avanza, dopo la stasi
e le distruzioni belliche. Ma Pescatori avvicina anche, seppur
in modo indiretto, le scansioni del "realismo esistenziale"
che andavano affacciandosi nelle opere del gruppo milanese, almeno
in modo continuativo, a partire dal 1956. Sono dunque contatti,
rapporti, che si caratterizzano, nell'uno come nell'altro caso,
attraverso condizioni espressive preliminari, o ridotte all'espressione,
dal bisogno narrativo di Pescatori. Infatti, già in opere
come Interno-esterno (ca. 1958), appare l'altra caratteristica
che rimarrà sotterraneamente presente in tutta la cultura
di Pescatori: quella di essere un cantore di emozioni e di stati
d'animo, più che un cantore di avvenimenti. A Pescatori
interessano i sentimenti, le emozioni, più che gli eventi:
è forse il modo individuale, sempre più consapevole,
di scegliere e di porsi all'interno del discorso artistico con
una propria rappresentatività.
Gli anni Cinquanta sono anche gli anni
del "lavoro" e della "famiglia": la scelta
artistica non è ancora compiutamente "maturata":
Pescatori lavora nei ritagli di tempo, non ha compiuto una scelta
artistica, come avverrà nel decennio successivo. La pittura
è una passione, un interesse, ma contemporaneamente ha
ancora un ruolo marginale nel lavoro, che pare caratterizzarsi
in senso tecnico, più che artistico.
Alla fine degli anni Cinquanta vi è forse l'incontro decisivo.
Non sappiamo attraverso quale fonte visiva sia avvenuto, ma è
un dato certo (2), testimoniato dalla pittura, che l'artista
bresciano vede Bacon, e forse, in precedenza, aveva visto
Ben Shahn. Bacon si coniuga dunque su un preciso retroterra visivo,
che abbiamo già indicato, e che va affiancato alle riflessioni
sociologiche - o di stampo sociologico: le prime in Italia a
segnalare i fenomeni dell'avvento di un consumo di massa -, riflessioni,
dicevamo, sul mezzo televisivo. La televisione viene vista come
un fatto onnivoro; s'è appena spenta l'eco di trasmissioni
come Lascia o raddoppia? che aveva rappresentato, come costume,
un fatto nuovo.
È il momento in cui Pescatori comincia ad operare una
scelta "verso" la pittura: partecipa ai concorsi ed
ai premi locali di cui ha conoscenza; ottiene riconoscimenti,
ma soprattutto entra in relazione e rapporto con altri artisti.
In città, con Fasser e Gallizioli, espone in mostre "giovani",
rappresentando una voce "nuova" all'interno della cultura
cittadina.
Le opere del primo periodo degli anni Sessanta sono caratterizzate
dall'insorgere del nero, del cupo, sia come indicatore della
televisione e dell'oscurarsi della sala, sia per far emergere
quei lividi colori - da bianco e nero - che servono a "denunciare"
(magari ingenuamente) il nuovo mostro tecnologico. Notevoli sono
alcuni ritratti: Pescatori punta ad evidenziare il disagio del
personaggio, l'inquietudine che traspare nelle livide luci della
televisione, che può o meno apparire come oggetto sulla
tela.
E' una serie pittorica importante che inizia, possiamo
dire, il discorso del nostro artista. L'espressività è
affidata alla stringata narrazione: dai fondi - stanze, soprattutto
- iscuriti, emergono forme - volti, mani...; ma sono volti e
mani che hanno subìto la rilettura attraverso un'indagine
introspettiva; sono forme piatte, che poco concedono alla narrazione,
puntando tutto sull'efficacia della emozione prodotta. Altri
elementi del vivere quotidiano - come lo stesso apparecchio televisivo
o il balcone - si trasformano di volta in volta in elementi magici,
o magico-opprimenti, come se l'uomo fosse o afferrato dalla magia
della nuova "sfera di cristallo", o rinchiuso nella
gabbia-balcone delle nuove periferie che il cemento sta, a piè
sospinto, costruendo.
È una pagina essenziale, anche perché si delineano
alcune immagini, come quella dei personaggi, da cui Pescatori
si muoverà nel corso degli anni con varianti minime.
La figura umana, che avevamo visto delinearsi nel "ragazzo"
agli inizi degli anni Cinquanta, si è venuta definendo
attraverso un "suo" specifico spessore: è una
figura che porta sul volto i segni di un'interna inquietudine,
di "un sottile rovello", se vogliamo mediare la lettura
che in epoca leggermente successiva farà Elvira Cassa
Salvi di opere come queste (3).
Con gli anni Sessanta,
e soprattutto con l'emergere delle nuove scansioni pittoriche,
cui abbiamo testé fatto cenno, Pescatori viene muovendosi
dall'iniziale apprendistato verso operazioni artistiche di più
profondo e felice spessore. Pescatori, con la metà degli
anni Sessanta entra in una delle fasi più importanti del
suo lavoro: è il nuovo rapporto uomo-natura che si viene
sviluppando su grandi, intense, chiare campiture. Con una modalità
che sarà tipica della sua poetica, anche successiva, Pescatori
si muove evidenziando una struttura narrativa scandita su ritmi
ampi e tesi: pochi oggetti compaiono sulla superficie della tela:
un volto, una mano, un oggetto, magari un tubetto semivuoto
di pittura, una tela vista dal retro. A fianco di questi oggetti,
molti dei quali, e lo vedremo, simbolici, Pescatori pone la natura,
una natura già artefatta, una natura per alcuni versi
"leopardiana": splendida e bella, ma tagliente e corrosiva,
come taglienti sono le lanceolate forme vegetali che
entrano obliquamente nei dipinti.
Gli elementi entro cui si muove la narrazione poetica di Pescatori
sono dunque tutti qui: una camicia, un volto, un oggetto...il
tutto inserito in grandi campiture, fatte di colori chiari. Ma
in questi pochi riferimenti, emerge quel "ritratto dell'anima"
(4), di cui parlava giustamente Attilio Mazza. Attraverso i pochi
oggetti - e sarà una costante caratteristica del Nostro
artista -, Pescatori riesce a delineare una dimensione di inquietudine,
una dimensione di amara riflessione sul vivere moderno. Così,
per esempio, come non sottolineare nei suoi volti il senso di
una domanda inevasa? I suoi protagonisti, volti, più che
persone, entrano appena nel quadro; i loro sguardi sono sempre
rivolti "oltre", ne mai guardano fissamente in viso
il lettore. Sono volti che cercano senza trovare, sono volti
che domandano, senza ottenere risposta.
Sull'altro versante dei simboli, compare la pittura: è
l'altro termine di paragone. In una sorta di forma trilobata,
Pescatori instaura costantemente il suo dialogo con se stesso
- e dunque con gli uomini -, con la natura, come parte di se
/ fuori da se, e con il mestiere, in una sorta di circolarità
del linguaggio che ritorna su se stesso, dopo essere partito
per parlare, metaforicamente, delle nostre quotidiane disarmonie:
"Tutto è contaminato e intaccato; tutto rinvia per
metafora ai flagelli che insanguinano il mondo" (5). In
fondo in questa lontana lettura, Elvira Cassa Salvi sottolineava
l'angoscia e/o l'inquietudine da cui siamo partiti e la simbologia
di Pescatori, richiamando il senso della metafora.
Matura, in questa fase di riflessione, un atteggiamento nuovo
nei confronti della vita: Pescatori accetta le inquietudini,
le angosce, come "parte" della vita; le accetta con
orgoglio umano, con serenità. La vita è una affannosa
ricerca di pace, che percorre tappe di inquietudine angosciosa.
La natura, cui prima facevamo riferimento, appare attraverso
le sue foglie lanceolate, lunghe come spade e come spade taglienti;
ma così appaiono anche certi rami, nodosi, contorti, che
esprimono la "fatica del vivere", così è
anche per certe ombre "lunghe", che oggetti usuali
gettano sinistramente sul lettore: nella dimensione quotidiana
dell'interno domestico, dunque nella dimensione "classica"
della sicurezza, si insinua quel dubbio che pare avvelenare la
riflessione dell'uomo. È un dubbio sottile, ma persistente.
Per questo certi barattoli di colore, così schiacciati
e così sfaccettati, paiono assumere un andamento metallico,
freddo, appunto, tagliente; per questo tutto assume un valore
di emblema e di simbolo: è la camicia che pare tradurre
- e sarà una costante nel mondo poetico di Pescatori -,
le inflessioni degli antichi sudari. Pescatori conosce la storia
culturale del cattolicesimo: quante volte, nelle gite-lavoro
con il padre, si è specchiato nelle pagine della pittura?
Quante volte ha sentito il fremito del simbolo, che suggeriva
silenzi e incuteva angosce?
La camicia di Pescatori
è appesa, si apre come se due braccia forti volessero
stringere il lettore; ad un tempo, la camicia di Pescatori è
tutta un insieme variegato di pieghe, è una realtà
che traduce la sostanza dell'uomo e del dolore universale, richiamando
il sudario. E quale dolore: il dolore che assomma in se tutti
i dolori.
È uno sguardo sul mondo, un riconcentrarsi sulle cose
dell'uomo, con l'autonomia "non-realista" che abbiamo
sottolineato in apertura; ma è anche un modo di tuffarsi
nella realtà iconografica della ricerca verisimile, che
trova il suo suggello nel premio-acquisto al Premio Suzzara,
in un'epoca in cui il prestigio del premio padano era ancora
alto (6).
Sulla fine degli anni Sessanta ed agli inizi degli anni Settanta
Pescatori vive dunque una importante stagione espressiva. Se
alcuni termini del suo discorso artistico erano ben evidenti
già nei lontani inizi, ora egli viene definendo un ambito
spaziale ed espressivo da cui sostanzialmente non si allontanerà
più; o, se lo farà, lo farà con brevi scarti
che occorrerà sottolineare come elementi denotativi di
una variazione di poetica.
Pescatori è alla ricerca di una propria autonomia espressiva,
non disgiunta da una sigla che lo caratterizzi: da qui il senso
di una spazialità nuova che ben si sposa con una mancanza
assoluta di sfondo: tutto vive sulla superficie del quadro. L'apporto
indiretto della pop art si fa sentire nell'utilizzazione di una
spazialità che non ha spessore, che tutto riduce nella
breve pellicola di acrilico che ricopre la tela. Come se mezzo
e fine coincidessero, Pescatori ha colto il senso di una realtà
che si propone senza storia, cancellando lo sfondo e dichiarando
la propria autonomia e perentoria presenza.
Ma Pescatori non è nato Oltreoceano; ha alle spalle una
storia visiva che va un po' più in là del fumetto.
La sua superficie "piatta" e senza sfondo si macera
continuamente; sono ora i segni screziati che indicano il marmo
dei suoi capitelli, sono le venature di questi marmi, ma sono
anche le pieghe e gli incavi della conchiglia - nuova presenza
simbolica databile sulla fine degli anni Sessanta -, sono i rami
e le verzure che rimangono ai bordi dell'immagine come elemento
della primitiva conquista.
È un muoversi lento; Pescatori annota; non elimina il
passato, ma lo filtra. E si muove su nuovi oggetti, che abbiamo
segnalato, alcuni dei quali - vuoi il pesce, da aggiungere ai
già indicati - rimarranno come simbolo costante del suo
operare; altri - i pneumatici, per esempio - si esauriranno nell'arco
breve di una stagione espressiva.
Ma la sostanza rimane inalterata: i colori, semmai, con l'evolversi
del tempo, vengono incupendosi. Su tutta l'evoluzione, una sostanziale
linearità espressiva, già segnalata, agli inizi
degli anni Settanta: "l'arco della pittura di Carlo Pescatori
disegna una traiettoria di grande coerenza espressiva",
iniziava, presentando il ciclo artistico di cui parliamo, Elvira
Cassa Salvi nel 1970.
Ma a fianco di queste scelte stilistiche, scelte che Pescatori
viene affinando anche nella grafica, emerge una sempre più
consapevole coscienza morale. Già in opere come quelle
dedicate al "pane" (premiata a Suzzara), e, successivamente,
in tele di scabra essenzialità - pensiamo ad opere come
Il posto, 1969 - Pescatori viene sempre più approntando
una scelta stilistica di larghe scansioni narrative, di pochi
oggetti, e di un frasario fortemente espressionistico, caratterizzando
la sua espressività con la tensione segnica: e per tensione
segnica pensiamo al suo frantumare la linearità della
superficie dipinta. Solo lo sfondo può avere questa opaca
luminosità. L'oggetto, anche se vasto come una parete,
o un piedistallo, l'oggetto è sempre venato da un'interna
vitalità, vuoi per segni fittamente inseriti, vuoi per
coloriture screziate, che paiono trasferire nella luminosa cromìa
dell'artista il tarlo dell'inquietudine.
È un'operazione che, dal punto di vista della struttura
dell'immagine si avvale di alcuni elementi "artificiali"
di grande efficacia simbolico-espressiva: vuoi gli oggetti collocati
nella parte alta dell'immagine, oggetti che dunque "pendono"
dando una dimensione anomala, incerta, al lettore; vuoi, altresì,
gli oggetti solidificati e legati ai primi che sono appesi, attraverso
un sottile gioco di rinvii e rimandi, che l'artista stesso suggerisce
segnando il percorso con fili intrecciati. Infine vi sono le
ombre: nere, cupe, ossessive, rappresentano il controcanto alla
luminosità del colore, determinando lunghe pause.
Con la comparsa degli oggetti, metafora della vita e dell'uomo,
la figura umana tende ad uscire dal rettangolo rappresentativo:
"già protagonista, la figura umana è venuta
tuttavia scomparendo da un discorso vieppiù incardinato
sull'uomo", annotava Guido Giuffrè (7); ed è
annotazione preziosa. La scomparsa dell'uomo non significa modificazione
poetica, ma piuttosto spostamento di ottica espressiva.
Opere come Paesaggio domestico, 1970 in cui un paio di
pantaloni sta appeso sopra un balcone coperto da una poltrona
di plastica, danno il chiaro senso dell'uomo: è ancora
la camicia-sudario che avevamo visto apparire a metà degli
anni Sessanta; e le screziate venature della balconata altro
non sono che il sangue della figura rappresentata sotto forma
di indumento.
Dal punto di vista culturale, alcune assunzioni, avvenute nel
decennio, vanno segnalate per rendere più comprensibile
quest'evoluzione. E forse la lettura più attenta - e sotterranea
- è di un altro "grande" inglese contemporaneo.
Abbiamo visto come Bacon abbia rappresentato uno choc espressivo
per il giovane artista; assistiamo ora all'attenta lettura di
un Sutherland che appare come in controcanto.
Le grandi campiture, gli spazi rigorosi - non vuoti: in pittura
nulla è vuoto - sono piuttosto una risposta interna a
due fenomeni contrastanti e concomitanti ad un tempo: da un lato
l'avvento della pop art, avvento che si è manifestato
in Italia dalla seconda metà degli anni Sessanta, almeno
per chi nel movimento non è inseribile direttamente; dall'altro
lato la riscoperta delle spazialità di un Guerreschi,
che veniva, proprio in quegli anni, scrivendo, con i "Profeti",
una delle pagine esemplari della cultura visiva italiana, almeno
nella seconda metà del secolo.
Ecco allora la spazialità ampia e sonora che distingue
questo periodo pescatoriano; è un elemento linguistico
ben riconoscibile che mette conto indicare: i suoi oggetti, per
altro, sono figli - illuminati - di questa spazialità.
Ma in questa spazialità alcune linee di forza vengono
sempre più comparendo, assumendo una propria specificità:
intendiamo parlare della "basi" (linee di fondo, basamento
vero e proprio, paesaggio...) che sempre più si concretizzano
come spessore scuro, su cui far librare l'oggetto, l'immagine.
Una seconda configurazione, che potremmo definire di una "complessa
verticalità", si contrappone a quest'elemento orizzontale;
abbiamo balaustre, cancellate, la stessa composizione della sedia
di plastica, ...elementi che servono a definire una verticalità
che appare come bloccata.
In una dimensione narrativa che vuole che gli elementi rappresentativi,
o rappresentativo-simbolici si propongano come elementi metaforici,
questo rapporto tra orizzontalità e verticalità
ha una sua specifica consistenza.
Tant'è che in un emblematico quadro del 1970, Piccolo
paesaggio domestico (collocazione ignota) tale rapporto si
evidenzia in tutta la sua complessità. Ma il quadro appare
segnalabile anche per quella piccola natura morta che troneggia
sulla base marmorea: è il sintomo di una nuova ricerca
che Pescatori, sulla scorta - forse casualmente scoperta attraverso
l'opera che segnaliamo - di Caravaggio, compie.
Pescatori annoterà su alcune tele,
databili attorno al 1973, la citazione: Dal Merisi: 1573-1973;
una sorta di ideale rapporto con il passato, rivisitato in chiave
nuova. Avremo modo di sottolineare adeguatamente il dato, rappresentando
la natura morta un elemento non più eliminabile dal suo
vocabolario artistico: ma che altro era, e ben guardare, la bambola
che compare nelle opere alla fine degli anni Sessanta?
Come "inventore di immagini", Pescatori ha una storia
ampia e articolata, anche se soltanto alcune immagini sembrano
avere libero accesso nelle sue tele, tornandovi di continuo.
Un elemento toccato solo agli inizi degli anni Settanta - è
la fase cruciale della ricerca pescatoriana - è quello
delle "spiagge". Le spiagge - altra metafora - nella
loro nuda disarmonia, rappresentano il momento della fuga, il
vuoto o l'assenza. De Micheli parla di "staticità
assoluta" (8) riferendosi proprio al ciclo "che potrebbe
essere raccolto sotto un titolo unico: - Le spiagge -".
È una pagina amara, dal sapore storico. Non è improbabile
che nel clima degli anni, le tensioni del Sessantotto e gli infausti
echi della tragedia del Viet-Nam abbiano inciso in questa pagina,
in cui un'umanità assente o in disparte assiste alla teoria
dei ciotoli che, muti testimoni della vita, si affannano a delineare
un'immagine. E' un Pescatori inedito, di alta statura storica,
quello che si muove su queste remote spiagge: ma è un
Pescatori che ha sempre più definito la propria visione
del mondo nei confronti della realtà delle cose. E gli
eventi, anche se lontani, ci sono vicini, Pescatori ha dunque
avvertito l'ondata "politica" che investiva la cultura,
e la sua pittura ne ha fedelmente registrato l'evento. E ci sembra
che, in questa luce, anche la lettura di De Micheli assuma un
valore simbolico, come testimonianza di una pagina di storia.
La stagione pittorica, infatti, viene muovendosi in altra direzione,
per Pescatori almeno. Abbiamo già annotato che il piedistallo
marmoreo, il capitello sono presenze emblematiche. Aggiungiamo
la comparsa di teste scultoree, come frammenti della cultura
classica: è come riprendere un dialogo con il passato,
un dialogo sempre presente e mai interrotto, ma come "sopito"
a contatto con l'insorgere della novità politica. Queste
riprese sono dunque significative di una volontà poetica,
certamente non neoclassica (9), ma sicuramente di notevole efficacia
narrativa. Pensiamo che Caravaggio vada ad inserirsi in questo
contesto. Di più, il recupero della natura in posa
si accompagna ad una dimensione narrativa del tutto nuova. È
la pagina più fredda, metallica, della cultura di Pescatori.
Ma è anche la pagina in cui più ampiamente vengono
alla luce i portati iconografici della cultura del nostro tempo:
la scansione lineare mette in luce la "razionalità"
esecutiva; ma la materia pittorica tradisce sempre quel dato
di fondo dell'espressionismo, inconfutabilmente esemplare per
la cultura di Pescatori. Gli oggetti stessi, che fanno da corredo
a questa "fiscella", sono di volta in volta
mutevoli: ora un pistone metallico, ora un oggetto della pittura,
spesso sono posati su un cavalletto, altre volte ancora sono
sovrastati dalla lampada da cavalletto, un riferimento ancora
alla pittura, un riferimento dunque a quella duplicità
del linguaggio, che pare essere la caratteristica dominante di
questa operazione. E in questa sensibilità verso le cose
del mondo, contrapposte alle cose dell'uomo ritroviamo i termini
del discorso che avevamo più sopra evidenziato.
Il decennio Settanta corre, possiamo dire, sui binari già
individuati e tracciati; poche sono le variazioni che intervengono
sulla tavolozza e nell'iconografia: i colori restano prevalentemente
chiari, metallici, in un certo senso plastificati, secondo l'invasione
consumistica dei tempi. Gli oggetti restano quelli: il cestello
di frutta, lo studio, esemplificato - ed è importante
notarlo - sempre da tele viste dal di dietro; c'è dunque
un richiamo alla cultura linguistica che parte con Velasquez,
ma c'è anche il richiamo psicanalitico alla "parola
non detta", che pare essere la condizione espressiva più
tipica del decennio (10).
Un disagio familiare, che diverrà
dramma, diviene come un'ossessione, un sintomo profondo di crisi per il Nostro autore: la morte della figlia Carlotta, che appare
sorridente in alcuni quadri (si veda, per esempio, Vetrina - La bambola che parla -, 1972), è un dramma che incupisce
la scena, spingendo Pescatori verso altre soluzioni artistiche. Inizia, sul finire degli anni Settanta, la serie che potremmo definire del "pittore nello studio", variamente articolata in autoritratti. Non si tratta di un "Narciso" o di un "pittore in posa" - alla Courbet, per intenderci -: in Pescatori la domanda è più perentoria - e tragica -.
Il pittore, allora, lavora nello studio con una serie di fantasmi:
da un lato i fantasmi della cultura, esemplificati dalla modella
che recupera le movenze dell'antica pittura; dall'altro lato
i fantasmi della realtà del linguaggio, che struttura
la comunicazione dell'artista; dall'altro ancora, infine, i fantasmi
individuali, che ritornano, come un'ossessione, sulla tavolozza
del Nostro: sono la camicia appesa che traspare oltre ai vetri
dello studio o posata sulla tavolozza; è il drappo appeso
e senza vita; è la spugna, che noi leggiamo intrisa di
fiele, che compare accanto al bucranio. Sono indici, segni, di
una realtà che va ben oltre la storia individuale dell'artista,
portandosi verso più collettive dimensioni dell'umana
riflessione. Pescatori si confronta con la storia, con i grandi
drammi dell'uomo e fors'anche per questo, nella serie del pittore
e dello studio, recupera i simboli
che sembravano espunti dalla precedente produzione - salvo a
far capolino, qua e là, di tanto in tanto -.
Il dramma corale della pittura di Pescatori si anima agli inizi del nostro decennio: superate le fratture,
l'autobiografia porta l'artista ad affrontare un grande ciclo,
della "vita" e della "morte" (11). Qui il
dialogo dell'artista è chiaramente intessuto di fatti
autobiografici: ne fa fede la dedicatoria a Sigmund Freud.
Pescatori scava in se stesso, nel proprio passato (12), negli
errori e nelle incertezze delle proprie scelte, per arrivare
a definire un quadro di rapporti del "sé" con
il "mondo". Pescatori costruisce un affresco della
condizione umana, un affresco vero, moderno, ma certamente un
affresco legato a segni antichi: che è un po' come dire
che certi drammi, nella loro verità, sono eterni, o connaturati
all'uomo. A fianco di questo excursus poetico, che affonda
la sua ricerca nelle radici della nostra storia culturale, c'è
anche il misurarsi con il mestiere del pittore, c'è il
dialogo muto con le "cose" dipinte, c'è il continuo,
ininterrotto colloquio con la realtà del passato: Durer,
Raffaello, il nostro grande Moretto, entrano nelle sue opere,
entrano in una sorta di ideale rapporto con la storia moderna,
come se l'artista chiedesse lumi all'antico splendore per superare
le difficoltà del vivere oggi.
È un ciclo grandioso, epico, che abbraccia ampiamente
un triennio di lavoro. Ed è un ciclo che "apre",
più che definire, segno dunque di un'interiore vitalità.
È il ciclo che attualmente ripropone Pescatori all'interno
della storia culturale lombarda, con quel suo infittirsi di segni,
di toni aspri e cupi, di toni forti e illividiti, come è
la luce nell'imminenza di un temporale estivo.
Non sappiamo dove condurrà l'attuale
ricerca. Se glielo chiedessimo, forse nemmeno lui saprebbe risponderci.
Ma che ci sia stato uno spostamento d'obiettivo lo si scorge
anche in queste preziose nature morte, in cui a malapena scorgiamo
il trascorso cammino. Come se le tensioni ed i drammi si fossero
raggrumati in quella autobiografia ideale, Pescatori tende a
dare un'evidenza cromaticamente stabile alla realtà delle
cose rappresentate. Pescatori dipinge la natura morta, memore
certamente dell'antica - secentesca - vanitas, memore dunque
del "memento mori" che ad essa era collegato. Ma come
se fosse liberato da una dramma cupo e sotterraneo, a lungo covato
sotto la cenere della pelle, Pescatori pare farsi cantore di
più colloquiali rapporti, pare aprirsi alla vita con una
nuova felicità narrativa - e pittorica - . Noi crediamo
che la magia e l'incanto di questo momento espressivo siano il
segno di una rilettura interiore del recente ciclo, che dovrebbe
riaprirsi verso uno nuovo. O pure è proprio in questa
saggezza che non teme nemmeno la morte, è proprio in queste
superiori "vanitas" che dobbiamo trovare le radici
per il nuovo cammino verso cui vorrà portarci. Con la
certezza, semmai, che la sua lettura del mondo si continuerà
a basare su quella complessità dei rapporti che ha reso
il suo discorso come una delle voci più espressive nella
nostra attuale realtà culturale.
Brescia, marzo-aprile 1987
Note:
1) Sulla cultura del realismo post-bellico troppo è stato scritto: noi rinviamo alla bella antologia di A. Guiducci, Dallo sdanovismo allo strutturalismo, Milano, 1967.
2) La certezza è nelle opere successive, come si vedrà; anche Pescatori ricorda
di aver visto riproduzioni di Francis Bacon, pur senza ricordare con correttezza
la fonte esatta: forse un numero della rivista Sele-arte.
3) Elvira Cassa Salvi: "Presentazione", nel catalogo galleria L'Argentario, Trento, 24 aprile 1969.
4) Attilio Mazza: "28 studi di artisti bresciani", edizioni "Squassina", Brescia, 1966.
5) Elvira Cassa Salvi: "Presentazione", nel catalogo galleria L'Argentario, Trento, 24 aprile 1969.
6) Premio Suzzara, 21a edizione, 8 - 22 settembre 1968.
7) Guido Giuffrè: "Presentazione", nel catalogo galleria Fant Cagnì, Brescia, 14 novembre 1970.
8) Mario De Micheli: "Presentazione", nel catalogo galleria 2001, La Spezia, 9 gennaio 1973.
9) Elvira Cassa Salvi: "Oggetti avvelenati", presentazione nel catalogo Galleria 32,
Milano, 26 maggio 1973: "Ma il ritorno furtivo di elementi classici nel contesto
di opere nient'affatto neoclassiche, assume oggi un significato ben diverso, anzi
rovesciato. Così nelle opere recenti di Carlo Pescatori la bella testa greca
s'accompagna a sudari, spugne inzuppate di fiele, ecc.; ma poi essa stessa
appare ulcerata, ferita; e dagli occhi, dalla bocca trasuda un sentimento di pena
profonda, di malinconia, simile a quella che vela il volto degli dei alessandrini,
prossimi al tramonto".
10) Enrico Bellati: "Il fantastico psicanalitico: la via del surrealismo critico", nel
catalogo della mostra "Confronti e omaggi" tenutasi alla galleria Fant Cagnì,
Brescia, 11 dicembre 1975.
11) Carlo Pescatori: "Committente Prof. Sigmund Freud - Vienna", nel catalogo
della mostra tenutasi alla galleria Schreiber, Brescia, ottobre 1986.
12) Carlo Pescatori: "Committente Prof. Sigmund Freud - Vienna", nel catalogo
della mostra tenutasi alla galleria Schreiber, Brescia, ottobre 1986.