La crisi delle tradizionali strutture
espositive che ha coinciso, non a caso, con la crisi stessa del
mercato dell'arte, ha provocato una domanda, sempre crescente,
di spazi pubblici ove gli artisti potessero in qualche modo ricomporre
ad unità ciò che unitario non era più. Mi
riferisco ai gruppi, agli schieramenti di tendenza, alle più
o meno legittime "gilde" che si formavano attorno a
galleristi, illuminati e no, in un passato ancora recente obbedendo
a ragioni culturali fortemente mediate dalle possibilità
che il mercato in forte espansione offriva. Fu, questo, un fatto
indubbiamente positivo e anche fortemente caratterizzante dell'arte
italiana che non ha mai potuto contare né su interventi
promozionali dello Stato - come avviene in molti paesi europei
- né sul mecenatismo delle fondazioni così determinante,
per esempio, negli Stati Uniti.
Gli artisti, tutto sommato, sono rimasti esposti a livello personale
e hanno dovuto scontare anche duramente condizionamenti di vario
genere che non vengono necessariamente a cadere quando al privato
si sostituiscono le pubbliche istituzioni, a meno che, come avviene
a Porto Sant'Elpidio, gli spazi non vengano direttamente investiti
da un programma nato dagli artisti stessi o da operatori culturali
che con loro collaborano cercando di dar qualche senso a quell'improbabilissima
attività che è quella dell'arte figurativa. Nel
caso presente si tratta di un gruppo di giovani di varia esperienza
e di varia estrazione che hanno soltanto in parte consuetudini
comuni di lavoro ma che avvertono la necessità di istituire
contatti nuovi. non per verificare già collaudate convergenze
ma per cercare nel confronto, e magari nello scontro dialettico,
la ragione prima dell'esporre e dell'esporsi.
La presenza di chi scrive, peraltro, ha la stessa motivazione
in quanto, sebbene per qualche artista presente esistano precedenti
di collaborazione diretta, in questo caso si giustifica solo
con la volontà di sperimentare una forma d'incontro impregiudicata
che troverà sfogo non tanto nella scelta delle opere da
esporre - lasciata in prevalenza al giudizio degli artisti stessi
- ma nel dibattito pubblico che dovrà seguire la manifestazione.
Vi è, insomma, una profonda diversità dalla manifestazione
precedente, imperniata sull'opera di un maestro come Xanti Schawinsky
presentato alla luce di una precisa concordanza fra critico e
artista e condotta alla verifica del dibattito pubblico.
Qui ogni questione resta aperta, convenendosi soltanto sul fatto
che si tratta di autori di esperienza non convenzionale, dotati
di personalità variamente giudicabile ma sempre rilevante
a livello culturale. Il titolo che li raccoglie, del resto, è
anch'esso aperto a varie interpretazioni. "Memoria e intervento"
sono dimensioni non pacificamente definibili, non soltanto in
sede estetica, ma è certo che oggi fra questi due poli
si situa gran parte della ricerca artistica italiana. Potrà
quindi sembrare perfino pretenzioso un titolo del genere a chi
non consideri che qui non si tratta di dare una summa, né
criteri d'azione estetica universali, ma soltanto di rendere
conto di come la memoria possa esercitarsi nella così
detta "citazione" ma anche in forme di più imponderabile
recupero d'esperienze, dell'oggi anche. Intervento, poi, ha significati
che vanno dal più greve "impegno" d'estrazione
populistica, alla più individuale scelta di presenza.
Ridurre a schema tutto ciò, come si fa, ad esempio, allorché
si contrappone l'intervento all'opera e lo si identifica con
una azione antipittorica se non antiestetica, significherebbe
solo ricadere nelle astratte schematizzazioni alle quali questi
artisti tendono, con la mostra qui presentata, a contrapporre
una visione aperta delle problematiche artistiche d'oggi.
A questo punto il discorso non può che orientarsi sulle
singole personalità, tenendo fermo il presupposto che
ognuno degli artisti presenti ha diritto alla singolarità
e alla specificità della propria storia. Non farei, quindi,
paragoni, se non procedendo per diversità. Ciò
consentirà di non restringere artificiosamente l'arco
degli interventi, come avviene quando il critico riduce alla
propria inevitabile parzialità la ricchezza di quel processo
che un tempo si diceva "creativo" e che oggi, per obbligo
di modestia, si dice di produzione artistica.
Agosto 1977