Ci è già capitato di scrivere,
a proposito di Carlo Pescatori: "il privilegio di chi si
pone ai margini della storia, è appunto quello di poter
dire qualche cosa sull'uomo e sulla storia parlando di erbe e
di fiori o magari occupandosi di pittura o di poesia".
Oggi è venuta l'occasione che riconferma questa riflessione.
Da una "personale" all'altra, il discorso di Pescatori
si configura sempre più come l'evoluzione di un linguaggio
che riferisce sulla realtà. E qui sta la radice problematica
della sua operazione.
Infatti: quale realtà? Quella oggettiva esterna (nella
misura in cui riesce ad essere oggettiva), o quella soggettiva
interna (nella misura in cui riesce ad essere soggettiva)?
È in questi termini che nasce il conflitto entro cui si
muove l'attuale fase della pittura di Carlo Pescatori, un conflitto
dalla cui impostazione scaturisce il linguaggio delle sue opere
più recenti, in particolare dei disegni.
Tentiamo di analizzarne la dinamica.
Se fino ad ora l'espressione del reale veniva da Pescatori (pittore
della "terza via", quella che sta tra realismo e astrazione)
stilizzate in simboli, ora viene raccontata mediante la contrapposizione
di due ordini di immagini: quelle della realtà oggettiva
esterna e quelle della realtà soggettiva e interna dell'autore.
Il suo bisogno esistenziale di "sopravvivere" come
pittore, lo ha portato ad allargare l'indagine dall'inconscio
(come avveniva nella precedente pittura) alla realtà della
vita.
Per difesa o per angoscia, per coraggio o per perplessità,
difficile dire perché, forse per tutti questi motivi e
altri ancora, il pittore esce dalla sua tana all'aperto e allo
scoperto: pone a confronto le forme della natura con le forme
del suo linguaggio, nel tentativo di ristabilire la funzionalità
della pittura (e quindi il significato della propria avventura)
in una situazione culturale in cui, da molte parti, si è
ritenuto che l'arte avesse perso le sue finalità conoscitive
nel momento stesso in cui perdeva la sua funzione di trasmettere
ideologie.
L'operazione resta dunque, come prima, ancora sul terreno della
ricerca; ma si pone sempre più come esigenza di mediazione
tra le due realtà possibili: quella della pittura, cioè
della cultura, e quella del mondo esterno, della vita, depauperata
o violentata che sia. Il risultato è un rovesciamento
delle posizioni naturalistiche, che ha però sempre come
fine il desiderio di salvare e trasmettere una idea della natura,
ed in essa un'idea dell'uomo.
Se cioè la rivoluzione naturalistica imponeva al pittore
di sgombrare la tela dal suo linguaggio culturale, diventato
accademia, per fare posto alle immagini della realtà,
come la riscopriva l'uomo sotto la sferza della cultura positivistica,
in Pescatori il processo, che è conflitto, consiste nel
reintrodurre la natura in un quadro già linguisticamente
costruito.
Un quadro, raffigurante la natura, viene cioè introdotto
in un quadro raffigurante la pittura, la cultura, la "pittografia"
dell'autore; una forma presa dalla realtà, viene inserita
in un'altra forma inventata.
Lo sforzo di Pescatori oggi si realizza nel tentativo di armonizzare
questi due piani, che si contrappongono come i termini estremi
di una domanda angosciosa: "quale è la realtà
possibile per un artista oggi: unicamente lo schema del proprio
linguaggio oppure quel resto del mondo che sembra sempre più
staccato dal linguaggio artistico?
Che possibilità esistono per risolvere il conflitto di
questi due mondi? Che significato ha una foglia o un albero per
il pittore di oggi? e per l'uomo di oggi? e più ancora,
quando un pittore oggi parla di foglie o di alberi, parla di
qualche cosa che è ancora parte della realtà, oppure
è già un segno all'interno della sua follia, come
lo è una apparizione in un sogno?".
Forse questa evoluzione, così problematica, costituisce
una svolta nella pittura di Carlo Pescatori.
Non a caso l'elemento umano si inserisce sempre più insistentemente
tra gli "oggetti" della cultura e le "presenze"
della natura.
Non a caso l'armonizzazione o il conflitto dei due piani contrastanti
(pittura-natura), si risolve nella costruzione di immagini piuttosto
che nella composizione di simboli. Alla raffinatezza del segno,
a delicatezze nuove corrisponde, si direbbe, la malinconica estenuazione
dell'artista che (sospinto al margine della storia in momenti
che sembrano presagire oscure catastrofi o luminose ma indistinte
rivoluzioni) chiude nello scrigno del suo "manierismo"
le consolazioni che gli è dato di raccogliere a testimonianza
del conflitto.