Con
una singolare convergenza, quasi si direbbe a mettere le mani
avanti, più di un recensore del lavoro di Carlo Pescatori
ha sentito il bisogno di sottolinearne insieme l'impegno etico-sociale
e il nessun interesse per le "pittoriche sensibilità"
e piacevolezze varie. La presa di posizione, in astratto più
che legittima, nasconde in realtà il rischio grave di
un preconcetto di ordine contenutistico, aggiornato nelle enunciazioni
ma in fondo stantio: quasi che una data scelta di base (e diciamo
pure un'opzione socio-politica) bastasse da sola a salvare un
artista e una vocazione ad esempio liricizzante a condannarlo.
Il discorso, in questi termini larghi, porterebbe lontano - ed
è in buona misura scontato. Del resto, lo stesso Pescatori,
nonostante la sua pittura fosse dichiarata (ed anche troppo insistita)
nella prima delle direzioni indicate, si trattasse cioè,
con aggettivazione assai equivoca, di pittura "impegnata"
- lo stesso Pescatori non ha creduto affatto di essere salvo
in linea di principio, ed anzi, tenacemente, è venuto
liberandosi da quelle scorie di ordine narrativo, descrittivo,
da quell'ingorgo che caratterizzava la sua pittura di qualche
anno fa, accentuandone le intenzionalità giudicanti e
compromettendone la qualità. Pescatori s'è accorto
cioè che non è difficile render "chiara la
denuncia e la condanna di tutti coloro che opprimono e soffocano..."
o "simboleggiare una situazione abnorme" : difficile
è farlo con quelle mediazioni formali che legittimano
l'operazione e garantiscono il risultato dalla retorica denunciataria.
Gli è stato così possibile passare da "Una
rosa per Huè", esposto in questa medesima galleria
bresciana nel maggio del '68, ed opera quanto sia faticata e
sofferta ma, a nostro modo di vedere, non altrettanto decantata
e risolta, a "Un posto 2", del '69, ovvero a queste
altre opere fatte di mute cancellate, di apparentemente anonimi
profili di sedie, di cieli che non paventano più, esplicitamente
almeno, incombenti minacce.
Pescatori non ha tradito se stesso: egli mantiene l'apertura
alla sensibile registrazione dei rivolgimenti, ed ora meglio
può dirsi dei turbamenti, delle inquietudini che premono
in una temperie sociale disastrosa sotto la pelle lucente della
produzione-consumo. Per lui non è ipotesi di lavoro, non
è personale contributo deciso in ossequio a più
ampi programmi, è bensì, a tutta evidenza, una
sorta di vocazione, questa di non scavare nelle profondità
dell'io, di non lamentare il soggettivo riflesso di situazioni
obiettive, ma di narrare, sia pure dal punto di vista della propria
emozione, la vita che ci circonda, gli avvenimenti, ed ora appunto,
sempre di più, i turbamenti, che premono nel controverso
spazio dell'uomo. Solo che questa narrazione, in un processo
di costante decantazione, è venuta mutando e qualificando
la sua strumentazione formale - ed è oggi narrazione per
immagini e non più per aneddoti.
Guardiamo i quadri di Pescatori.
Già protagonista, la figura umana è venuta tuttavia
scomparendo da un discorso vieppiù incardinato sull'uomo;
dove prima la descrizione di un fatto, assai più che l'allusione
o il simbolo, dava nei termini alterati che lo configuravano
l'esplicito giudizio e la condanna, ora la muta, lapidaria presentazione
di oggetti non suscettibili di lettura analogica suggerisce,
assai più che un giudizio, l'inesprimibile dubbio su un
ordine umano che non riconosce se stesso. Con ostinazione le
cancellate rimandano, com'è stato osservato, al carcere,
al campo di concentramento, cioè all'esclusione, e non
dagli "altri", si direbbe, o dalla "libertà",
bensì da ogni senso umanamente acquisibile e commerciabile.
Ma esse sono anche, nella tesa perfezione del loro ritmarsi,
e imperscrutabili continuità di balaustre, ossessiva circolarità
di copertoni d'auto, il rimando a un ordine razionale che quegli
umani sensi non condizionano più, ch'è spietatamente
sganciato da una quotidianità in cui soltanto l'uomo trova
la misura, umile o eroica, di se stesso.
Può certo avvenire che contro il dogmatismo, ferreo e
spietato assolutismo di quelle sbarre parallele, di quei cerchi
troppo perfetti, contro l'anonima funzionalità di moderni
utensili in tubolare e plastica, prema l'ipotesi d'una diversa
dimensione vitale, l'oscuro levarsi d'una ceppaia, il torcersi
repentino d'un viluppo di foglie trascorrente come volo spaurito
d'uccelli, l'ostentarsi pietosamente divaricato d'un paio di
calzoni appesi ad una croce cui non giova la versione più
domestica e impietosamente ironica. Anche allora tuttavia i termini
della dialettica non si definiscono più nella puntualità
di un riferimento nel cui perimetro breve soffoca alla fine ogni
autentica profondità di respiro; essi restano piuttosto
sospesi nell'apparente asetticità di un enunciazione che
in realtà, proprio nel rifiutare la gratuità del
moralismo, si fa simbolo crudo di una muta ferocia il cui subdolo
prevaricare non è meno drammatico della sua esplosione
violenta.
Dura così e si affina un impegno di Pescatori di cui non
cessa, nel qualficarsi formalmente, il premente risvolto civile.
Premente e incisivo, nei densi e tersi risultati ch'egli presenta
oggi, proprio per l'acuto profittare d'un apporto linguistico
colto nell'accezione non pretestuosa - tanto almeno quanto per
il crescere d'una umana consapevolezza.
Che è la strada giusta di ogni artista genuino.
Roma, ottobre 1970