Si afferma di continuo la necessità
dei «valori puri» nell'arte (ma che significato
ha «oggi» questa espressione? ) e la pericolosa
evasione e involuzione della realtà che quei valori costituiscono,
per cui soltanto l'obiettività la più fredda, meccanica,
e la produzione seriale dell'opera, se non addirittura un nuovo
atto creativo che la escluda del tutto per sostituirla con l'azione
sociale (come se il dipingere e lo scolpire non fosse un'azione
sociale!) può salvare l'uomo dal disastro della completa
alienazione ed inserirlo inequivocabilmente nel proprio tempo.
Il compendiare, perciò, nell'espressione artistica la
realtà e la volontà di migliorarne ed elevarne
il livello, estrapolandone le aberrazioni e considerandole entrambe
l'una linfa dell'altra, può sembrare, a coloro che fanno
dell'estremismo la loro prova di carattere, una posizione di
acquiescenza condannabile per ignavia contemporanea. Oggi la
maggioranza degli uomini pensanti responsabilmente e costruttivamente
afferma e non soltanto afferma, che l'unica possibilità
di salvezza in tutti i campi sta nel «dialogo»,
nella «trattativa», nella tolleranza e nella
ricerca di un punto di contatto con le altrui convinzioni, o
meglio di collaborazione, in un modo di esistere, insomma che
dia a Cesare quello che è di Cesare a dispetto dei volontari
del mitra, del nulla, dell'azione eteròclita e delle materie
plastiche. L'esclusione aprioristica dell'espressione artistica
con senso preciso e compiuto, paragonabile all'uso della forza
cieca nel vivere comune, è dissolta dalla convinzione
più concreta d'una simbiosi dei significati della verità
e della realtà.
Ha preso piede, è anche vero, la persuasione occulta che
si esprime con moduli poco riconoscibili perché si avvale
di una modernissima tecnica psicologica con tutte le sue nefaste
conseguenze, soprattutto nel campo dell'usufruizione artistica.
C'è da sperare che sia questione di qualche tempo e che
questa nuova lonza potrà essere ricacciata dalla chiara
coscienza dell'essere.
Che cosa si vuole affermare con questa introduzione? Nulla che
abbia attinenza con la visione limitata e statica del reale;
nulla che non indichi l'arte quale proiezione della creazione
nell'uomo; nulla che non permetta di riprendere con essa il controllo
delle strutture esterne, da lui proposte ed attuate, senza di
che egli corre il rischio di farsi travolgere o peggio distruggere.
E ciò non può avvenire, naturalmente, con la stessa
tecnica che le produce com'è nella convinzione dei pittori
che si valgono dei mezzi visivi alienanti propri della mass-cultura,
e cioè dei rotocalchi, dei fumetti e così via,
ma con una chiara, precisa e ferma volontà di superare
l'«impasse» esistenziale. Il futuro dell'uomo
è un'incognita sino ad un certo punto, voglio dire sino
a che egli rinuncerà ad essere motore della realtà,
creando presupposti di progresso razionale si, ma anche spirituale.
Non è quindi soltanto questione di entropia di miti o
di obsolescenza dei fatti storici e di cronaca, ma soprattutto
di volontà di proporre soluzioni che non sottintendano
la priorità del contenuto sulla forma e viceversa, tale
cioè da ibernare l'uno e l'altra. Tengo a sottolineare
nuovamente che non è questo un atteggiamento di sfiducia,
di qualunquismo o di assenza di forza di gravità attorno
ad un pensiero ben delineato, bensì di chiara convinzione
nella validità ed obiettività dell'assunto dell'etica
moderna.
Con l'acquisizione di questa etica, s'impone anche l'affermare
che non è più il caso di tenere in piedi l'equivoco
del voler vedere nell'arte il «loisir» in
senso esclusivo, ingigantito coi secoli soprattutto nella convinzione
dei fruitori del «tempo libero». Affermando
inoltre che l'arte è uno dei principali «comburenti»
della dinamica interiore, mi riallaccio all'etica pittorica di
Caravaggio, di Courbet e di Van Gogh, per giungere
al filone contemporaneo in cui agiscono gli artisti più
validi. Non trascurando perciò gli assunti storici, preciso
che, per l'insostituibile valore intrinseco di messaggio e di
testimonianza e di quello estrinseco del diffondersi del collezionismo
e della fruizione sotto varie forme, essa arte etica ha sempre
avuto ed ha, ora più che mai, una funzione di antidoto
alla situazione attuale purtroppo ancora problematica. È
pensabile infine che essa possa portare ad una soluzione ontologica
con la sua rara e genuina capacità di penetrazione, contenendo,
così, l'incauta quanto pericolosa spinta verso l'arida
massificazione programmata del «prodotto dell'arte».
In questo ambito ha cominciato ad agire anche Carlo Pescatori,
con un impegno ormai chiaro, frutto d'una tormentata ricerca
artistica attraverso sofferte esperienze da cui gli sembrava
impossibile uscire. È bastato, invece, dargli la fiducia
e la parola che lo aiutassero a leggersi dentro perché
egli cominciasse a raccontare, partecipandovi, la realtà
dell'uomo contemporaneo nella sua accezione problematica. Intendo
dire, con ciò, di avere soltanto sollecitato la biogenia
del pittore in rapporto ai plurimi della società e di
avere quindi fatto in modo che egli agisse nell'ambito d'una
proposta d'integrazione del suo precedente intimismo con la più
vibrante e timbrica espressione della concreta realtà
artistica attuale. In altre parole coi valori più significativi
della pittura e con un linguaggio alla cui base sta la fisica
ottica dei colori primari e complementari. Gli elementi eterogenei
che costituiscono questo linguaggio, i più importanti
dei quali sono la figura umana, la camicia, il cespuglio, la
vite, i tubetti del colore e le tubazioni del gas, il carciofo
e la rosa, quali componenti della sua attuale esigenza di esprimersi,
vengono variamente composti nelle sue opere con una matrice che
insiste, appunto, sul tema della dialettica condizione umana,
espressa dal contrasto dell'elemento naturale e meccanico inserito,
quest'ultimo, con una proprietà e validità sconcertante
di contesto nell'opera.
Pescatori s'identifica, ora pienamente, con i suoi personaggi,
apportando la sua esperienza biografica nelle sue figurazioni.
I suoi oggetti non vengono scanditi, è chiaro, al modo
di quelli della pop, scaduta a mitizzarli, oppure al modo degli
artisti dell'apparente parte opposta op, che si preoccupano della
ricerca di effetti visuo-cinetici, confondendo l'uomo con le
allodole. Egli compone invece con una tecnica che, tenendo conto
della tradizione simbologica, significhi esservi alla nostra
radice soprattutto una realtà incontestabile. Egli sembra
volerci dire che il fascino dei più recenti ritrovati
della cibernetica, non potrà mai sostituire in noi l'esigenza
dell'etica primigenia.
Il discorso di Pescatori segue, così, la logica e la chiarezza
del percorso intrapreso con l'arte dall'uomo creato e nel tracciato
del quale troviamo: il segno, eseguito allo scopo dell''«attractio
similium» o il feticcio, tagliato coi coltelli di selci
per la propiziazione delle forze naturali; la canonizzazione
di determinati fenomeni ed avvenimenti per i rituali connessi
alle sue convinzioni religiose o al problema dell'aldilà
(quando egli s'illuse di aver carpito con la piramide il segreto
dell'eternità); la canonizzazione delle parti del corpo
per la sua esaltazione umanistica integrale e, correndo attraverso
le fasi storiche dell'arte fino alle ultime espressioni che implicano
i dati teoretici della ragione e dell'istinto, la necessità
attuale che egli ha di esprimersi per ciò che egli è
veramente, con le implicanze della sua ambiguità, della
sua fragilità e brutalità, della sua ragione di
essere, della sua volontà di divenire.
In Pescatori ritrovo questa necessità soprattutto nelle
opere «Una rosa per Huè» e «Uomo».
Concepita in tre «momenti» distinti ma unitari,
per intenderci al modo dei polittici medioevali, «Una rosa
per Huè», oltre che avere valore d'apertura tecnico-formale
della sua pittura, è anche l'interpretazione espressiva
e critica dell'artista del conflitto Vietnamita, di una tragedia,
cioè, che impegna la coscienza di tutti gli uomini. Nella
prima ed ultima parte, «La locusta migratoria» divorante
un germoglio e «La rosa» dove la bambina fugge alla
vista del personaggio della violenza significato dalla camicia
contorta e in quella centrale «Cespuglio» in cui
degli esseri umani vengono fagocitati da una vegetazione carnivora
e dei quali essa si vale per ingigantire e dilagare (a simboleggiare
una situazione abnorme in quella parte della terra), è
chiara la denuncia e la condanna di tutti coloro che opprimono
e soffocano o divorano, appunto, la libertà nascente altrui.
L 'impianto delle tre parti è scattante, il loro significato
vibrante.
Nell'opera «Uomo», che può essere considerata
una risposta di Pescatori alle provocazioni, formale e contenutistica,
di certa pittura agnostica ed una proposta di salvezza della
dignità umana, quindi monumento anagogico, lo spazio luminoso
sovrastante il nuovo Adamo è un valido esempio della possibilità
pittorica di dire l'essenziale con la sobrietà ed il silenzio
delle cose.
La cromia diapasonica e il bianco, inteso in lui quale sintesi
luminosa dei fondamentali, più che un richiamo al senso
ritmo-cromatico di Mondrian o eterobàfico dell'ultimissimo
Guerreschi, con quella di «Calda estate», «Camicia
in esterno», «Camicia in interno», «Oggetti»
ed altri, è concepita nella pittura di Pescatori come
uno spettro solare semplificato e nel contempo potenziato.
Egli ha abbandonato, con l'attuale gruppo di dipinti, il grigiore
dell'incertezza interiore e la preoccupazione epidermica, in
un certo senso artigianale, degli accordi tonali e della pennellata
«felice» ma altrettanto vuota che riscontriamo in
tanta pittura sedicente ortodossa ma che in effetti è
soltanto tardiva o nella migliore delle ipotesi provinciale.
L'isolamento spaziale di ogni singolo elemento del racconto dipende
più che da un'opposizione del pittore all'«orror
vacui» (per cui la superficie elaborata dell'opera non
permette mai una stasi visiva e quindi anche sensoriale) piuttosto
dalla discrezione dell'artista o meglio dal suo timore della
vociferazione che, se da un lato permette una scarica psicologica,
non costruisce, però dall'altra, nulla di meditato e storicizzabile.
Ecco quindi l'impegno principale del nostro pittore e il suggerimento
che egli vuole darci per mezzo della isotonia delle forme che
strutturano il suo discorso ed ecco nel contempo il valore delle
stesure pausanti quale attonita ma ferma risposta all'efferatezze
che si vanno, purtroppo ancora, perpetrando. Già s'intravede
in alcuni suoi dipinti il possibile sviluppo del suo lavoro.
L'eliminazione di un certo descrittivismo sostituito con la rimeditazione
essenzializzante le sue figurazioni, come si nota appunto nell'opera
«Uomo» già citata, darà, ne sono certo,
all'arte di Pescatori un timbro proprio, inserendolo così
tra le più valide promesse della pittura italiana.